Teatro San Carlo: Cenerentola e la magia di un desiderio avverato

C’era una grande attesa per il debutto di Cenerentola (nella foto di Luciano Romano), la fiaba più amata di Charles Perrault, con una lunga e complessa genesi che in forma ballettistica ha prodotto un gran numero di versioni coreografiche – dalla prima rappresentazione russa del 1945 a quella inglese di Frederick Ashton, passando per quella di Rudolf Nureyev e Maguy Marin solo per citarne alcune – molteplici e fantasiosi adattamenti fino alla versione di Giuseppe Picone, nuova creazione per il Teatro San Carlo e primo titolo in programma per l’organico che lui stesso dirige da sei mesi. Un impegno non da poco che in alcuni passaggi lo ha tenuto sveglio notti intere alla ricerca di un passo, di un accento, di una sequenza, come ha raccontato durante la conferenza stampa.Una partitura musicale – quella di Sergei Prokof’ev, diretta dal maestro Nicola Giuliani – certamente non facile che alterna momenti ‘descrittivi’ a brani impetuosi e travolgenti, basti pensare al valzer del secondo atto che culmina con il tema dell’orologio quando scocca la mezzanotte. Un ingranaggio perfetto e roboante che farebbe resuscitare chiunque e che rappresenta il momento doloroso e sofferto del ritorno alla realtà che porterà lentamente e faticosamente al finale tanto atteso: il matrimonio tra Cenerentola ed il suo principe.Fermo restando l’impegno visibile di tutta la compagnia – numericamente significativa visto l’inserimento di ventiquattro ballerini aggiunti – non si può dire che la struttura coreografica, che in un balletto narrativo deve supportare lo svolgimento del racconto e rinforzarlo sottolineandone i passaggi da un quadro all’altro, sia stata particolarmente incisiva. Risultano difficili e a tratti impervie le sequenze dei passi che offrono ai protagonisti una bella prova tecnica ma il coinvolgimento del corpo di ballo non sempre segue il percorso tracciato dalla forza della musica, e risente dunque di passi non troppo elaborati che in alcuni casi tendono alla ripetitività e alla presenza costante di coppie di ballerini, raramente scisse per alimentare combinazioni più ariose che possano puntare sul singolo, su piccoli ensembles o sulla coralità in un ventaglio più ampio.Eccessivamente ridondanti le scene di Nicola Rubertelli, (con un improbabile siparietto bianco) che stranamente non hanno saputo rendere la magia di una favola che affonda le sue radici nel Seicento, unitamente ai costumi del repertorio del Teatro San Carlo ripresi da Giusi Giustino, che per la scena del ballo – uno dei momenti clou del balletto – mischiano colori pastello rendendo la visione d’insieme fin troppo edulcorata con punte di un evidente squilibrio cromatico.Maria Eichwal ha danzato da protagonista con ottima padronanza tecnica ed un bellissimo lavoro di braccia, morbide e rifinite, ma forse ci si sarebbe aspettati di più nel coinvolgimento emotivo, nella caratterizzazione del ruolo, nella dolcezza di un amore incantato che fa sognare ad occhi aperti. Accanto a lei Alessandro Staiano, nel ruolo del principe, ha sfoggiato una incisiva preparazione tecnica che unita a bellezza e armonia nelle proporzioni ne fanno un bel ballerino anche se ancora un po’ acerbo dal punto di vista espressivo. La fata/madre di Cenerentola è stata ben interpretata da Anna Chiara Amirante, pulita nell’esecuzione, elegante in ogni passaggio. Sgraziate al punto giusto, come previsto dal copione, Sara Sancamillo e Candida Sorrentino nei panni delle due sorellastre Araminta e Arabella.Qua e là una più attenta regia, che va al di là del focus sull’esibizione tecnico-virtuosistica ma certamente a favore della storia narrata in musica e danza, avrebbe giovato allo spettacolo che ha attirato un gran numero di spettatori che ha gremito il teatro più bello del mondo, vibrante di applausi.Elisabetta Testa

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