Alessandro Staiano:"mi manca il senso artistico della danza"

Ha un corpo scolpito, idee chiare e temperamento da vendere. Ma la vera sorpresa è scoprire un’anima inquieta, curiosa, che sfonda le pareti della prevedibilità per andare oltre. Ventiquattro anni, alto, bello, vigoroso nella tecnica con il cuore sempre al lato artistico della danza, Alessandro Staiano (nella foto di Luciano Romano), napoletano, da un po’ di tempo interpreta i ruoli da protagonista al Teatro San Carlo con un successo ormai consolidato. Dopo aver preso parte allo spettacolo estivo Bolle and Friends (in scena a Spoleto e a Genova), in accordo con Giuseppe Picone – nuovo direttore del Corpo di Ballo del Teatro San Carlo – è stato invitato a dicembre all’Opéra National de Bordeaux da Charles Jude, pupillo di Rudolf Nureyev, per ballare il ruolo di Franz nella sua coreografia di Coppelia.Mi racconta la sua storia dall’inizio? Fino a nove anni ho giocato a tennis, non mi piaceva proprio la danza. Mio padre era ballerino stabile al Teatro San Carlo, mia madre era sempre con lui a vedere spettacoli. Sono nato in questo teatro, mio nonno era custode quindi avevo un rigetto per la danza in generale. Ho una sorella più piccola, che studia anche lei danza. Ad un certo punto, per divertimento, ho provato ad entrare in sala, non che non ci fossi già entrato prima…non mi piaceva tanto l’allenamento ma ero attratto dal palcoscenico, infatti nei primi anni aspettavo con ansia il momento del saggio, chiedevo continuamente a mio padre quando avremmo cominciato le prove. Fino a quattordici anni ho studiato con lui poi sono entrato alla Scuola di Ballo del teatro, la Signora Razzi venne a vedere uno spettacolo e mi notò. Mi mise al terzo corso e poi ho proseguito fino alla fine. Subito dopo il diploma ho avuto qualche contratto in teatro, (Without words, Cantata) e poi sono andato per un mese all’Opera di Roma per Romeo e Giulietta di Patrice Bart, nello stesso periodo ho fatto l’audizione all’Opéra di Parigi e sono arrivato ottavo. Avrei avuto un contratto di tre mesi per l’Uccello di fuoco ma avevo già un impegno al Teatro San Carlo dove stavo interpretando più ruoli, così ho deciso di restare a Napoli, ho fatto il concorso e da due anni circa sono stabile.Quali sono state le difficoltà?A parte accettare la disciplina che la danza ti impone ogni giorno – e ancora oggi ci sto lavorando – sono state difficili le scelte che ho dovuto affrontare. Oltre alla decisione se accettare o meno l’impegno all’Opéra di Parigi, il periodo precedente all’arrivo del nuovo direttore, Giuseppe Picone, non è stato dei più floridi. Fortunatamente sono stabile, e ringrazio per questo, ma guardando attentamente la situazione viene  voglia di andarsene. In realtà ci vuole più coraggio a restare che ad andare via, soprattutto a Napoli. Ora con Giuseppe Picone si sta cominciando ad intravedere uno spiraglio di luce.Che cosa la colpisce in un danzatore?Il senso artistico. Tutta l’arte è imprescindibile dall’estetica, e sarebbe interessante sapere cosa si intende per estetica, la bellezza è soggettiva. La tecnica è necessaria ma bisogna conoscerla per poi abbandonarla e uscire fuori dai canoni. Penso agli artisti che dipingono quadri astratti…eppure non vuol dire che non sappiano fare un ritratto, sono usciti da un canone classico per cercare qualcosa di nuovo. Il senso artistico di un ballerino non si evince secondo me dai ruoli classici, stereotipati e a volte limitati, il principe deve essere bello ed  elegante, non sono richieste particolari sfaccettature nella personalità. Il ruolo più intenso è certamente quello di Albrecht in Giselle. Nel repertorio classico ci si sente interpreti più che artisti, non si può personalizzare un movimento più di tanto.C’è qualcuno che ha inciso nel suo percorso artistico?Si, varie persone che hanno creduto in me da quando ero piccolo ad oggi, a cominciare da mio padre e poi Anna Razzi, Alessandra Panzavolta che mi ha affidato i primi ruoli, Lienz Chang che mi ha fatto entrare in scena con una grinta diversa, con una maggiore sicurezza e Giuseppe Picone che conosco da sempre – abbiamo fatto anche uno Schiaccianoci insieme – che ogni giorno mi dà consigli preziosi. Queste persone, ognuna per un motivo diverso, hanno composto un puzzle che però è ancora incompleto…Che cosa la emoziona nella danza?La potenzialità che ha l’arte in generale di farti estraniare, di farti respirare e non perché nella vita privata mi senta oppresso. E’ la sensazione che si prova nell’ascoltare una bella musica, quando si guarda un quadro…non parlo mai della danza in particolare ma sempre dell’arte perché per me non si possono scindere. Oggi i ballerini sono come i calciatori, non sono considerati nella categoria degli artisti ecco perché non sono attratto da sette pirouettes o dai salti circensi, sono uno che salta parecchio e si diverte a sfidare la tecnica ma non è quello lo scopo finale della danza. Mi dispiace offendere la mia categoria ma la maggior parte dei ballerini è ignorante, forse perché stiamo tante ore in sala prove oltre all’aspetto interpretativo c’è quello tecnico che ci porta giorno dopo giorno ad allenarci, a modificare il nostro corpo davanti allo specchio, questo forse non dà l’opportunità di approfondire altri campi. La danza è arte. Posso vivere senza la danza ma non posso vivere senza l’arte. Se smettessi di fare il ballerino avrei mille cose da fare, magari è l’unica cosa che so fare bene.Che cos’è l’umiltà?Una cosa che non sai di avere. Chi dice di essere umile per me non lo è. L’umiltà bisogna averla prima con se stessi, poi con gli altri. E’ fondamentale in sala, ma in scena non si può essere umili. Per fare questo lavoro devi piacerti per forza, passiamo la maggior parte del tempo con noi stessi.Quanto conta la gavetta?Tanto. Però bisogna saper capire quando si è pronti per un passo successivo o almeno per mettersi alla prova. In teatro ci sono persone che hanno fatto la gavetta fino a trent’anni per poi essere chiamati ad interpretare ruoli principali, gente con le doti e con le potenzialità per diventare primi ballerini o solisti. All’estero non funziona così.Che cosa è cambiato nel mondo della danza?Oggi c’è una forte ricerca del virtuosismo a discapito del senso artistico che era invece preminente negli anni d’oro. Ancora oggi i salti di Baryshnikov fanno scuola ma oltre ad una tecnica strepitosa aveva un carisma unico. Mi manca il senso artistico della danza.Quale dote non può mancare ad un ballerino?La testa, la consapevolezza di dove si vuole arrivare. Nell’ottavo corso dell’Accademia Vaganova le ragazze sono tutte belle e brave come la Zakharova ma soltanto una diventa prima ballerina, perché? Io non sono mai stato molto costante nell’allenamento ma chi è intelligente capisce che la costanza è fondamentale.E’ ambizioso?Si, se faccio una cosa la voglio fare bene. Sono molto competitivo ma in maniera pulita, sana.Dove vuole arrivare?Non ho mai preteso niente, le cose sono venute da sé. Riguardo alla mia carriera ho sempre pensato di arrivare fino alla qualifica di primo ballerino o étoile. Ho partecipato al Bolle and friends perché il maestro Luigi Bonino mi ha notato e tra un po’ andrò a Bordeaux per interpretare Coppelia con la coreografia di Charles Jude. Ballare con Bolle è stato più che emozionante, solo prima di entrare in scena ho realizzato che c’erano i nomi più importanti accanto a me, è una persona molto intelligente e gentile. Sono fortunato a poter vivere queste belle esperienze, magari c’è qualcuno anche più bravo di me a cui non è capitata la stessa opportunità, all’estero il talento nessuno se lo lascia scappare.Che cos’è il talento?La capacità di cogliere il particolare, una sensibilità in più. Non vedo il talento come una dote tecnica. Certo madre natura ci deve pur dare una mano…la danza è di tutti ma non è per tutti.Classico, neoclassico, contemporaneo, quale stile predilige?I ruoli classici li devi fare per forza se vuoi diventare primo ballerino, sono molto impegnativi ma belli da vedere, fanno parte della storia della danza, ti formano. Il contemporaneo mi piace parecchio, sono molto attratto dai ruoli creati da Roland Petit perché hanno tecnica, stile ed interpretazione.Tre aggettivi nei quali si riconosce?Deciso, sensibile e curioso. Non mi accontento mai.Ce l’ha un sogno, un progetto da realizzare?Spero di continuare a ballare nel mio teatro e se possibile di essere riconosciuto all’estero perché manca un ballerino non solo italiano ma soprattutto del nostro teatro! Il Teatro San Carlo è la mia casa, il posto dove sono nato, nutro un amore appassionato e incondizionato, deve avere una rivalsa, non può essere solo il teatro più bello del mondo come disse Stendhal. Non sono una persona molto patriottica ma Napoli è una delle città più belle del pianeta e io ne ho girate tante.Le è mai capitato di avere paura?Il giorno in cui avrò paura smetterò di ballare. Il nostro lavoro è andare in scena. Dopo tre mesi di prove, di impegno, di fatica, anche se cadessi non mi importerebbe. Gli errori possono capitare, si va in scena sperando di fare il meglio se cosi non è amen, andrà meglio domani.Chi è il suo mito?Non ne ho uno in particolare, Sergei  Polunin si è creato un personaggio ma in scena pensa un po’ di più al lato artistico, non è fissato sulla tecnica. E poi mi piacciono David Hallberg e Friedemann Vogel.Che cos’è la danza per lei?Un mezzo per trasmettere agli altri quello che sento dentro, non è niente di trascendentale, non è elettricità come diceva Billy Elliot.Elisabetta Testa

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