Don Chisciotte al Teatro San Carlo, ed è subito festa

Nell’estate del 1982 Rudolf Nureyev danzò al Teatro San Carlo il suo Don Chisciotte con Marie-Christine Mouis e la compagnia del Boston Ballet, ero seduta in platea col cuore che batteva forte e ricordo perfettamente l’emozione indescrivibile quando entrò in scena, il carisma magnetico, la sua danza superba, il virtuosismo sfrenato che lasciava a bocca aperta, lo sguardo catturante. Trasudava arte da tutti i pori.

Rudolf non c’è più ma la sua danza continua a vivere.

Nello scrigno prezioso dei balletti di repertorio classico, Don Chisciotte (nella foto di Luciano Romano, Luisa Ieluzzi e Alessandro Staiano) è uno dei titoli più amati, sognati e divertenti, punto di arrivo per virtuosismo e potenza espressiva. Capolavoro della letteratura mondiale – pubblicato in due volumi tra il 1605 e il 1615 – la storia del Don Chisciotte della Mancia di Miguel Cervantes è considerata il primo romanzo moderno.

Idealista e patetico, eroe delle battaglie perdute, cavaliere che sostituisce la sua fantasia alla realtà, Don Chisciotte è un sognatore destinato a svegliarsi quando le sue stesse forze l’avranno ormai abbandonato. Magro/magrissimo a cavallo del suo ronzino tutto ossa, è l’esatto opposto del rotondissimo servitore-scudiero Sancho Panza che lo accompagna nelle sue molteplici avventure.

Don Chisciotte è la Spagna e tutto quello che di bello evoca: ritmo, colore, forza, passione, amore, sogno. Un tema così pieno di sfumature, intriso di un’atmosfera comica, non poteva non attrarre l’attenzione del mondo della danza. Senza andare troppo indietro nel tempo, Marius Petipa al suo arrivo in Russia – Mosca, 1869 – ne fece un gran balletto d’azione e da allora in poi, pur tra vari cambiamenti, il balletto ha conquistato sempre maggiore importanza e bellezza.

Petipa utilizzò le avventure dell’hidalgo come pretesto per raccontare altro, i protagonisti della storia sono infatti Basilio, barbiere squattrinato, e la sua amata Kitri/Dulcinea di cui, manco a dirlo, Don Chisciotte è innamorato. Il balletto è una vera esplosione di danza, che dalla jota, alla seguidilla, alle danze gitane vorticose e ritmate, al conturbante fandango, arriva dritta dritta al meraviglioso passo a due del terzo atto che pretende potenza e rigore, severità stilistica e concentrazione profonda. Destinato ad infiammare il pubblico per lo scoppio di virtuosismo tecnico – della serie chi più ne ha, più ne metta – il balletto ha tanti momenti di pantomima e dunque non bisogna tralasciare l’aspetto narrativo, espressivo, fortemente caratterizzante.

La versione di Rudolf Nureyev – ripresa al Teatro San Carlo da Clotilde Vayer e Charles Jude – come tutte le sue coreografie è micidiale per difficoltà tecnica. A dire il vero le tortuose sequenze non sempre sono godibili (per chi le esegue e per chi le guarda) proprio perché cervellotiche e spesso poco distese.

Aldilà delle variazioni solistiche (create evidentemente sulle proprie capacità) l’attenzione di Nureyev coreografo riguarda soprattutto la riuscita delle danze d’insieme (a parte il quadro delle driadi, nel secondo atto, insuperabile nella versione di Petipa) in cui ogni singolo elemento deve rivelare un ottimo livello tecnico e i disegni coreografici, pieni di movimenti a canone o intrecci complicatissimi, hanno l’effetto di un prisma.

La compagnia del Teatro San Carlo, diretta da Clotilde Vayer, ha presentato un lavoro ben fatto con scene (non particolarmente esaltanti) e costumi di Nadine Baylis in una produzione della Royal Swedish Opera. La musica di Ludwig Minkus – diretta da Martin Yates – piacevole e godibile, ha avuto dei rallentamenti un po’ inusuali, che hanno fatto perdere brio all’azione scenica in alcuni momenti clou. Grintosi e pieni di energia Daniele di Donato, nel ruolo del torero Espada, ed Emanuele Torre in quello del gitano; sempre delicata e precisa Martina Affaticato, Regina delle Driadi. Sotto tono il ruolo di Don Chisciotte di Giuseppe Ciccarelli (il migliore degli ultimi anni è stato senza dubbio Francesco Imperatore, languido e stralunato, al fianco di Svetlana Zakharova nel 2013). L’étoile Alessandro Staiano, nei panni di Basilio, non ha convinto fino in fondo nelle evoluzioni virtuosistiche ma è risultato naturale e a suo agio nelle scene più espressive, comiche e non. Al di sopra di tutti, Luisa Ieluzzi, étoile luminosa del Teatro San Carlo che potrebbe brillare in qualunque teatro prestigioso del mondo (ma noi siamo felici e orgogliosi che lo faccia nel nostro teatro).

A parte la bellezza incantevole, ha sfoderato ancora una volta tutta la sua esperienza e sensibilità. Tecnica pulita, linee infinite e una forte versatilità che le permette di passare dai ruoli romantici a quelli neoclassici con estrema credibilità, sempre all’altezza della situazione, con sfumature in più e mai in meno.

Un meritato successo ha accolto tutta la compagnia del Teatro San Carlo, pronta ad andare in scena ancora oggi e domani (15 e 16 novembre alle ore 18.00), prima della ripresa della messa in scena del balletto dal 23 dicembre 2023 al 4 gennaio 2024.  Nel secondo cast il ruolo dei protagonisti sarà interpretato da Claudia D’Antonio e Danilo Notaro, per un’altra bella sfida.

Elisabetta Testa

 

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