Teatro San Carlo: trionfo di applausi per “5 Tango’s” e “In the middle, somewhat elevated”

Una serata di danza elettrizzante. La compagnia del Teatro San Carlo, diretta con forza da Clotilde Vayer, ha portato in scena al Teatro Politeama due coreografie: “5 Tango’s” e “In the middle, somewhat elevated” create rispettivamente da Hans van Manen (1932) e William Forsythe (1949) grandi maestri del Novecento che hanno lasciato un segno indelebile per la loro fertile produzione.

Lontano da tutù, coroncine e atmosfere incantate, la serata di ieri ha offerto uno sguardo contemporaneo di grandissima qualità. Contemporaneo ma sulle punte, con tanto di arabesques, développés e pirouettes

Rendere ‘moderna’ la tecnica classica è una sfida talmente accattivante che ha stimolato la mente di geni assoluti, uno fra tutti George Balanchine, ‘l’architetto della danza’, ideatore dello stile neoclassico, di cui William Forsythe è considerato a pieno titolo l’erede diretto. La danza per la danza, la danza che basta a se stessa, che si autorigenera, che esplora nuovi territori, che va oltre la rigidità – l’equilibrio statico – l’immobilità – la consueta posizione frontale rispetto al pubblico (via libera alle teorie di Laban sull’uso dello spazio), e diventa rivoluzione assoluta nel rompere le righe, affacciarsi al di là, spingersi fuori equilibrio (il celebre off balance) girarsi di spalle al pubblico, cambiare direzione all’improvviso. E poi la schiena dinoccolata e il brivido di far partire l’impulso a muoversi da un punto qualsiasi del corpo e non sempre e solo dal centro come nella più pura danza accademica. Un universo infinito da esplorare. E che magicamente attrae!

Presentato all’Opéra di Parigi nel 1987, “In the middle, somewhat elevated” fu commissionato a William Forsythe da Rudolf Nureyev (!!!) quando era direttore (l’immagine indimenticabile e iconica di Sylvie Guillem col caschetto nero e un corpo da urlo ha fatto il giro del mondo), e ci è voluto molto poco per farlo diventare un capolavoro.

La musica di Thom Willems, avvolgente, incalzante, elettronica al punto giusto, sottolinea ogni passo e segna lo scorrere del tempo con suoni simili a frustate che sprigionano energia creativa. Sembra una coreografia anarchica, in cui ognuno fa quello che gli pare e dove gli pare (dal centro ai lati del palcoscenico dove non ci sono quinte), la scena è nuda, i ballerini pure (nel senso che i body verdi aderentissimi non nascondono niente ed esaltano ogni minimo dettaglio di corpi scultorei) e invece è un ingranaggio perfetto da cui esce fuori una espressione potentissima che mischia tecnica/velocità/geometria/energia/bellezza e chi più ne ha più ne metta e che con una parola è DANZA!

Kathryn Bennetts – assistente di William Forsythe per lunghi anni – ha fatto un lavoro di ricostruzione eccellente, ma la scelta dei nove danzatori della compagnia napoletana è stata sbalorditiva. Belli, bravissimi, omogenei, in perfetta sintonia hanno danzato come meglio non si poteva. Particolarmente sinuoso e motivato è apparso Danilo Notaro, in ottima compagnia con Salvatore Manzo, Claudia D’Antonio, Martina Affaticato, Martha Fabbricatore, Shaila D’Onofrio, Chiara Amazio e Karina Samoylenko (Irene De Rosa e Vittoria Bruno), la cui resa è stata di altissima qualità. Su tutti la bellezza abbagliante e la precisione tecnica di Luisa Ieluzzi (nella foto di Luciano Romano con Stani Capissi), étoile del Teatro San Carlo, sempre più versatile e vicina alla perfezione da ogni punto di vista (tanto lo sappiamo che la perfezione non esiste) con le sue linee lunghe, l’elasticità di un giunco e le vibrazioni dell’anima, in coppia con Stani Capissi che ha sfoderato grinta ed energia con grande determinazione oltre alle sue indiscusse doti fisiche. (Per una indisposizione dell’ultimo minuto non hanno potuto andare in scena Alessandro Staiano, étoile del teatro, nel ruolo da protagonista, e Anna Chiara Amirante).

Diversa l’atmosfera di “5 Tango’s” che ha aperto la serata, creato nel lontano 1977. Hans van Manen, olandese, è senza dubbio una dei grandi maestri della danza contemporanea, con una lunga vita alle spalle – novant’anni e centocinquanta balletti a sua firma – ha esperienza da vendere. La sua cifra caratteristica è sempre stata una profonda musicalità, che è quella che esalta la danza attraverso l’uso dei passi che poi diventano un movimento sempre più ampio che turbina nell’aria. Grande fantasia nella ricerca dei movimenti e un sapiente uso dello spazio scenico oltre che della geometria in cui le coppie dei danzatori si alternano, si muovono, si scambiano al ritmo incalzante della musica di Astor Piazzolla, non proprio il primo venuto in materia di tango…

Ben curato il lavoro di ricostruzione affidato a Jan Linkens e Rachel Beaujean, con scene e costumi di Jean- Paul Vroom (costumi femminili davvero degni di nota nel connubio letterario rosso e nero, mentre quelli maschili appesantivano la figura), per una coreografia molto ariosa, senza soluzione di continuità in cui si passa da coppie a duetti ad ensemble con la coppia principale: Candida Sorrentino, in forma ma non del tutto incisiva nella sensualità intrigante del tango, e Ertugrel Gjoni, dalla forte presenza scenica.

Applausi lunghissimi e scroscianti hanno accolto, meritatamente, tutti i protagonisti sulla scena, in una serata che ha dato risalto ad uno stile poco rappresentato nel lirico napoletano, eppure altrettanto magico.

Elisabetta Testa

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