Teatro San Carlo: “Sogno di una notte di mezza estate” di Paul Chalmer e la danza trionfa

Uno spettacolo meraviglioso in cui ha trionfato la danza nei suoi molteplici e affascinanti aspetti. Bellezza, bravura, eleganza, espressività, qualità di lavoro sono esplose in un’unica grande emozione che si è sprigionata nella messa in scena del Sogno di una notte di mezza estate (nella foto di Luciano Romano) con la compagnia di balletto del Teatro San Carlo, diretta da Giuseppe Picone. La versione di Paul Chalmer – che somma alla lunga esperienza in giro per il mondo una profonda sensibilità artistica e una raffinatezza sempre più rara da trovare in giro – è un vero gioiello per inventiva, musicalità, ricerca coreografica. E’ veramente sorprendente la padronanza di tutto il vocabolario tecnico che va dai movimenti delle braccia ai salti, ai giri, agli adagi, ai più piccoli collegamenti tra un passo e l’altro, fino ai meravigliosi pas de deux con prese vorticose, in una ampiezza creativa che allarga i confini della danza. L’ insieme delle sequenze – difficili e ardite, straordinariamente aderenti alla musica – compone un’unica tessitura che, senza soluzione di continuità, sembra un cesello, un ricamo prezioso. Non è un’impresa facile riuscire a trasporre nel linguaggio gestuale uno dei capolavori teatrali di William Shakespeare (il primo del genere cosiddetto ‘comico’) che, ça va sans dire, si basa sull’uso della parola per raccontare tutta la magia di una notte sognante tra re/regine/fate/farfalle/elfi/ sullo sfondo della corte ateniese. Diametralmente opposto a Lo Schiaccianoci, titolo del grande repertorio classico che celebra le feste natalizie, Sogno di una notte di mezza estate (la notte tra il 23 e il 24 giugno, giorno di San Giovanni) rappresenta il cuore della stagione estiva, una notte magica, secondo la credenza popolare, propizia agli incontri d’amore. E di amore è pervasa tutta la storia che, scritta intorno al 1595 da Shakespeare, si apre sulle nozze annunciate di Teseo, Duca di Atene e di Ippolita, Regina delle Amazzoni, interpretati molto bene da Alessandro Staiano, con la sua danza possente di grande impatto, e da Annachiara Amirante, precisa nella tecnica e significativa nella presenza scenica. Nell’atmosfera incantata del bosco, scappano i quattro giovani amanti: Elena, Ermia, Lisandro e Demetrio, rispettivamente Claudia D’Antonio, Luisa Ieluzzi, Stanislao Capissi e Ertugrel Gjoni, eccellenti protagonisti delle scaramucce amorose, di grande forza espressiva, ineccepibili dal punto di vista tecnico, hanno colorato i loro ruoli con tutte le sfumature possibili. Di altissimo livello l’interpretazione di Salvatore Manzo, nel ruolo di Puck, elfo dispettoso, che sembra stato creato apposta per lui. Dotato di linee meravigliose (belli si nasce ma bravi si diventa) e giri da compasso ha fatto ampio sfoggio della sua tecnica lucidissima con quel pizzico di garbo in più che non sfocia mai nel banale ed una resistenza encomiabile, visto che ha ballato dall’inizio alla fine destreggiandosi in sequenze tecniche iperboliche. Non è stato da meno Carlo De Martino, nel ruolo di Paride, che nel divertissement del secondo atto ha convinto tutti con la sua sorprendente velocità di esecuzione.

Al di sopra di tutti Maia Makhateli nel ruolo di Titania, Regina delle fate. Un diamante prezioso nel mondo della danza, una ballerina che rende la sua arte unica per la tecnica purissima, la delicatezza interiore, la morbidezza delle braccia e soprattutto una straordinaria capacità espressiva naturale, mai costruita, che la rende davvero unica e sottolinea la sua sensibilità. Accanto a lei Vito Mazzeo, che già dieci anni fa, quando il balletto andò in scena al Teatro dell’Opera di Roma con Carla Fracci e la regia di Beppe Menegatti, aveva interpretato il ruolo di Oberon. Efficace, vigoroso, espressivo, ha rappresentato con sicurezza e regalità il Re delle fate. La struttura del balletto, scorrevole, fluida, chiara, si avvale della musica di Felix Mendelssohn – Bartholdy, diretta dal maestro Pietro Borgonovo, e include momenti buffi come l’intervento di Bottom, interpretato con efficacia da Edmondo Tucci, che danza con la testa di asino, o la sconclusionata compagnia di teatranti – un pensiero affettuoso va a Fabio Gison, professionista serio che con questa produzione conclude il suo percorso di danzatore del teatro. Le bellissime scene di Pasqualino Marino, capaci di creare un’atmosfera rarefatta, si fondono perfettamente con i costumi di gran classe disegnati (già dalla prima edizione) da Elena Mannini, un trionfo di buon gusto con colori delicati e fattura strepitosa. Tutta la compagnia – con i giovani allievi della Scuola di Ballo del Teatro San Carlo diretta da Stéphane Fournial, il Coro di Voci Bianche diretto da Stefania Rinaldi e le voci soliste Paola Francesca Natale (soprano) e Miriam Artiaco (mezzosoprano) – ha lavorato con grande entusiasmo e ottimi risultati consolidando un percorso di rinnovamento cominciato anni fa che ha tutta la voglia, e la SPERANZA, di non finire mai.

Elisabetta Testa

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