Teatro San Carlo: Raymonda e i giovani coreografi

Cinque titoli per una serata di danza multiforme – in scena al Teatro Politeama – che ha spaziato dal repertorio classico a quello neoclassico e contemporaneo con la compagnia napoletana guidata da Clotilde Vayer. Una lunghissima ouverture musicale (su base registrata come per ciascuno degli altri brani) ha introdotto il primo titolo in programma: Raymonda (nella foto di Luciano Romano), uno dei balletti più eleganti del repertorio classico – creato nel 1898 per la celebre ballerina italiana Pierina Legnani – di cui è stato rappresentato il Grand pas hongrois tratto dal terzo atto, considerato a giusta ragione un vero gioiello di tecnica e stile.

In una scena minimalista, come si conviene ad un estratto dal balletto intero, nove coppie di ballerini in costumi elegantissimi rosso e oro creati da Giusi Giustino, hanno fatto sfoggio della superba coreografia di Marius Petipa, al culmine della sua strabiliante e fertile carriera, visto che proprio con Raymonda concludeva il suo lavoro geniale. La musica di Glazunov, così riconoscibile per la forte evocazione tematica ricca di accenti e sfumature, ha sottolineato ed enfatizzato l’atmosfera ungherese puntando sulla precisione dell’esecuzione, sulla cura dei dettagli, sulla raffinatezza e sulla forza.

I due protagonisti, Anna Chiara Amirante e Alessandro Staiano, nominati di recente étoiles, sono belli e bravi e danzano con una notevole affinità fisica anche se, forse, è mancato proprio l’afflato emotivo, la sensibilità spiccata che viene dal cuore e che aldilà delle più o meno mirabolanti evoluzioni tecniche, trasporta lo spettatore nella sfera magica del sogno. La variazione femminile dello ‘schiaffo’ è una delle pietre miliari del repertorio, difficile più che nella sequenza dei passi, per l’intreccio di seduzione, sensualità, fermezza e abbandono che la avvolge e ne fa un momento unico, anche per la musica che la accompagna: solo pianoforte. Ben curato il lavoro di insieme dove spicca qua e là qualche piccola sbavatura e dove magari saltano all’occhio elementi più dotati di altri ma dove ognuno è impegnato in un lavoro serio, costante e motivato. Raymonda, nel tempo, ha ispirato numerose messe in scena: il primo a portarla fuori dalla Russia, precisamente in America, fu George Balanchine nel 1946, poi Rudolf Nureyev nel 1964 per la compagnia viaggiante del Royal Ballet di Londra e, facendo un bel salto in avanti, impossibile non ricordare la produzione del 1976 con Carla Fracci protagonista, proprio al Teatro San Carlo.

La seconda coreografia Appointed Rounds di Simone Valastro su musica di Laurie Anderson, è risultata molto ben costruita. Sulla scia di Forsythe e Kylián, in un linguaggio neoclassico, cinque danzatori: Stani Capissi, Danilo Notaro, Candida Sorrentino, Vittoria Bruno e Chiara Amazio, hanno rappresentato tanto la singolarità dell’individuo quanto l’importanza del gruppo in un brano allegro, fluido, scorrevole che mette in luce la dinamica, la velocità senza dimenticare l’io interiore, la personalità, le sfumature diverse che sono la vera ricchezza dell’uomo.

Con Delibes Suite, creato da José Martinez nel 2003 per Isabelle Ciaravola – “le più belle gambe dell’Opéra di Parigi” – si è ritornati allo stile classico puro, ed è stato un bellissimo ritorno vista la bravura dei due interpreti: Claudia D’Antonio, fortissima tecnicamente in sequenze a tratti impervie ma sempre con la sicurezza scenica e una delicatezza gioiosa nel danzare, e Salvatore Manzo che è dotato di linee davvero formidabili, con giri da compasso. Con grande affinità e serenità contagiosa hanno portato in scena tutta la loro esperienza accumulata negli anni.

Aria Suspended con Luisa Ieluzzi e Danilo Notaro, anche loro étoiles del Teatro San Carlo, è una creazione di Mauro De Candia che risale al 2009. Ben costruito, sulla splendida e celeberrima musica di Bach (Aria sulla quarta corda, Suite n. 3, BWV 1068), è un passo a due avvolgente che attraversa lo spazio e il tempo, la luce e il buio, la terra e il cielo. Fortissima l’aderenza dell’azione danzante alla musica e lo stretto legame tra i due corpi e le due anime in cui ciascuno degli ottimi interpreti aggiunge sensibilità, emotività, bellezza.

L’ultima coreografia, Aunis, di Jacques Garnier (morto nel 1989) ha avuto la presenza di due musicisti in scena, due fisarmoniche che hanno evocato immediatamente atmosfere di danza popolare. Tre interpreti: Pietro Valente, Ertugrel Gjoni e Giuseppe Aquila hanno danzato con ironia, leggerezza e presenza scenica, giocando con la musica in grande sintonia tra loro esaltando la libertà di espressione che pure nasce dal rigore, dalla disciplina più ferrea.

Elisabetta Testa

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