Anna Razzi, "chi pensa di essere arrivato è già in discesa"

Tra pochi giorni il debutto di Peter Pan, in scena al Teatrino di Corte del Palazzo Reale.

E’ solo uno dei tanti balletti creati per i suoi allievi, per metterne in luce la tecnica ma anche l’espressività, il senso della scena.

Creativa e determinata, elegante e tenace, Anna Razzi (nella foto di Alessio Buccafusca) ha diretto per venticinque anni la Scuola di Ballo del Teatro San Carlo, la più antica d’Italia fondata nel 1812 sotto il regno di Gioacchino Murat. Romana ma di origini partenopee, Anna Razzi è stata Prima Ballerina e quindi étoile del Teatro alla Scala fino al 1985, ha danzato con i più grandi nomi del panorama mondiale – uno fra tutti Rudolf Nureyev – e con caparbietà e dedizione totale ha insegnato l’arte della danza ai suoi numerosi allievi. Tanti sono ormai affermati professionisti in giro per il mondo, altri sono rimasti a Napoli e formano la compagnia del Teatro San Carlo.

Belli e pieni di talento, sono il frutto di un insegnamento meticoloso, attento, di una guida esperta e sicura che non è mai venuta meno in ogni passaggio delicato della crescita, nella costruzione sempre più difficile di un percorso artistico che si rispetti.

Signora Razzi qual è stata, negli anni, la caratteristica della Scuola di Ballo?

Un grande rigore, tanto che poi fu chiusa per quasi un secolo per ragioni comportamentali. Prima del mio arrivo, nel 1990, ci sono stati due anni di fermo, quando ho cominciato c’erano solo diciannove allievi demotivati e altri sessantacinque candidati – tra cui Alessandro Macario, Primo Ballerino ospite del Teatro San Carlo – in attesa di iniziare. Ma non c’erano tutti i corsi professionali e questo vuoto ha creato non pochi problemi di organizzazione. E’ stata dura ma ce l’ho fatta. Dopo sei mesi il primo spettacolo e da allora la scuola ha costruito un repertorio fitto di titoli che spazia dai balletti classici a nuove produzioni come Pinocchio, piccolo gioiello coreografico, il primo che ho creato dedicandolo agli allievi più piccoli. Non sono arrivata al Teatro San Carlo catapultata all’improvviso ma preparata. Andando indietro con la memoria ho studiato all’Accademia di Teatro dizione e recitazione. Avevamo un teatrino dove ci insegnavano tutto: a fermare le quinte, a montare le scene, a fare le luci. Di esperienze ne ho avute tante!Da ballare a dirigere una Scuola di Ballo così importante il passo è stato breve.

Qual è la differenza principale?

Ballare è la cosa più semplice perché si è se stessi e se lo fai bene o male è colpa tua, mandare in scena altre persone è una grande responsabilità. Si emozioneranno? Affronteranno il pubblico con grinta? Per dirigere bisogna avere occhi molto attenti. Prima di dare un giudizio negativo ci penso a fondo, analizzo le molteplici sfaccettature di ogni allievo, come sta in scena, come si comporta durante le prove. Tutto è importante per formare un professionista.

I ragazzi di oggi sono cambiati,  purtroppo in peggio. Per diventare un  ballerino, la disciplina è alla base, ci vuole molta precisione nello studio, niente è lasciato al caso. Ultimamente non c’è  né grande rigore né grande educazione.

Che cosa è cambiato dalla direzione di Bianca Gallizia alla sua?

C’è stata un’evoluzione nello stile, nella tecnica. Ho studiato con le sorelle Battagi ma quando sono andata a Parigi per perfezionarmi mi sono resa conto che qualcosa stava cambiando, non si poteva più ballare col ditino sotto il mento! La formula magica è l’aggiornamento costante, bisogna rinnovarsi continuamente.

Che cosa la colpisce in un danzatore?

La bellezza, l’attitudine, la personalità. Ma subito dopo l’intelligenza, senza la quale è impossibile lavorare bene. Naturalmente la tecnica è importante perché aiuta ad esprimersi, dà la tranquillità necessaria per ballare.

Che differenza c’è tra gli allievi di ieri e quelli di oggi?

Ho visto parecchie generazioni di ragazzi in venticinque anni, i primi allievi erano agguerriti, determinati, adesso sono pochi quelli pronti a fare sacrifici, a lottare. Che cosa offre la vita oggi? Molti di loro si smontano facilmente, c’è poca forza morale. Anche perché prima gli esempi davano dei segnali molto più vivi, specifici. Basta guardarsi intorno.

Tra i tanti ricordi di una vita ce n’è uno in particolare che la emoziona?

Quando Léonide Massine – ballerino e coreografo (interprete di Scarpette Rosse) – mi scelse a sedici anni per Il bel Danubio blu e poi quattro anni dopo, al Festival di Nervi, per La quarta sinfonia di Brahms. Una bella soddisfazione.

Le è mai capitato di avere paura?

Certo. Paura di non essere capita, di non riuscire a realizzare un progetto, di non sapere come andrà a finire. Ma ho un carattere fortissimo.

Che cos’è l’umiltà?

Una dote fondamentale per i ballerini. Ce n’è veramente poca in giro. Il lavoro non finisce mai, c’è così tanto da imparare, a me piace procedere guardando lontano, seguendo un obiettivo. Chi pensa di essere arrivato è già in discesa. Quello del ballerino è un mestiere in cui disciplina, umiltà e rigore sono la base di tutto. Conosco bene l’ambiente e ciò che pensano direttori e coreografi, se non c’è un comportamento rigoroso vieni escluso, puoi essere un danzatore eccellente ma di solito si preferisce una persona disciplinata ed affidabile, anche se meno brava.

Secondo lei che cosa manca alla danza in Italia?

Gli italiani sono esterofili, ciò che abbiamo in casa non viene apprezzato, anche le cose più modeste se vengono da oltre confine risultano sempre migliori. E’ un circolo vizioso. Io stessa ai miei tempi ho sofferto, alla Scala venivo trattata come una extra-comunitaria perché venivo da Roma…devo molto a John Field e a Rudolf Nureyev che mi hanno voluto in ruoli importanti. La preferenza per gli stranieri sta distruggendo il nostro paese, all’estero scelgono la qualità e i nostri ragazzi vengono selezionati perché sono bravi. Se non vogliamo rimanere ultimi dovremmo pensare a costruire qualcosa di nostro.

Che cos’è la danza per lei?

Sono talmente invischiata in questo lavoro che non mi faccio domande, vado avanti, non mi posso fermare. Succederà un giorno come avviene per tutti.

Il suo è stato un percorso lungo, intenso e pieno di successi, è soddisfatta di quanto ha costruito?

Ho lavorato veramente tanto ma le gratificazioni sono state enormi. Questa lunga esperienza mi ha insegnato molto ma soprattutto mi ha insegnato a combattere ed è questo il messaggio che voglio lasciare a tutti i giovani, ballerini e non: non arrendetevi mai di fronte alle difficoltà, combattete sempre, a testa alta, perché solo chi combatte per le cose in cui crede, vince!

Elisabetta Testa

 

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