Stéphane Fournial, "oggi manca il carisma"

Ha le idee chiare. Prorompente nell’eloquio, affabile e determinato, ha una lunga carriera alle spalle. Ballerino, docente e produttore – nipote di Noёlla Pontois, étoile dell’Opéra di Parigi – Stéphane Fournial (nella foto di Francesco Squeglia) dal 21 ottobre scorso dirige la Scuola di Ballo del Teatro San Carlo, ridefinita da lui “la prima in Italia e la più antica d’Europa”. Cavaliere delle arti e delle lettere – onorificenza conferitagli nel 2009 dal ministro della cultura francese – ha tanti  propositi per la nuova avventura che lo coinvolge in prima persona in una sfida difficile e piena di entusiasmo, dopo la lunga direzione di Anna Razzi durata un quarto di secolo.

Maestro, com’è entrata la danza nella sua vita?

Ho frequentato fin da piccolo l’Opéra di Parigi in un’atmosfera molto particolare. Quando ho cominciato avevo circa tredici anni e una lunga preparazione atletica costruita grazie al nuoto e al calcio. Ho lavorato sodo ma ho avuto degli ottimi insegnanti, tra cui: Raymond Franchetti, Jean Babilée, Solange Golovine, maestri con esperienza e carisma unici. Sono stato molto fortunato a vivere la danza nei suoi anni d’oro, con maggiori opportunità rispetto ad oggi.

Quali sono state le difficoltà?

La disciplina era molto rigida, alcuni maestri usavano il bastone, e non serviva solo per battere il tempo…oggi se solo sfiori un bambino devi stare molto attento. E’tutto diverso, non dico che i ballerini non siano bravi ma manca il carisma. Non sono mai stato un fan di Rudolf Nureyev, riconosco che aveva una tecnica pazzesca ma io ero incantato da Vladimir Vasiliev, era il mio idolo. Il vecchio filmato di Spartacus del 1961 lascia ancora a bocca aperta per la tecnica impeccabile, la forza espressiva e poi era un uomo speciale, mi emoziono ancora a guardarlo.

Chi ha inciso di più nel suo percorso artistico?

Non ho dubbi, Vladimir Vasiliev. Avevo diciannove anni la prima volta che l’ho incontrato, interpretava Giselle e nel ruolo di Albrecht era veramente fenomenale, un giorno mi ha preso da parte per lavorare su alcuni passi poi ci siamo visti ancora tante volte. Molti anni dopo, poco prima che smettessi, mi avevano invitato a ballare al Cremlino, lui mi venne a salutare con la moglie Katia. E’ stata una presenza fissa nel mio percorso artistico, il migliore esempio che abbia avuto.

Quando ha deciso di smettere di ballare?

A quarant’anni. Interpretavo il ruolo di Domenico Soriano al fianco di Carla Fracci in Filomena Marturano, avevo ancora cinque anni di lavoro pianificato. Si sa che da un certo punto in poi si comincia a scendere, ho preferito finire in bellezza, al massimo della mia forma. Negli ultimi quindici anni della mia carriera sono stato freelance, dunque non ero attaccato ad un teatro, oggi sarebbe difficile.

Da poco più di un mese dirige la Scuola di Ballo del Teatro San Carlo, qual è il suo obiettivo, la sua linea guida?

Il Teatro San Carlo è stato classificato dall’Unesco al primo posto nel mondo. Mi sa che sia l’unico teatro in Europa ad avere ancora la Scuola di Ballo al suo interno. La tradizione è un bagaglio importante ma non esclude l’innovazione. Malgrado tutte le difficoltà che comporta – una fra tutte la mancanza di spazi – non vorrei spostarla. Penso che per i bambini sia bellissimo poter vedere i ballerini professionisti, i musicisti, i cantanti. Respirare la magia dell’arte è una grande fortuna. Penso anche che criticare sia molto facile, diciamo che non ho trovato una situazione ideale per vari motivi, in particolare quello organizzativo. Vorrei potenziare il lavoro tecnico cercando nuove soluzioni per la frequenza scolastica degli allievi, sto studiando delle alternative per poter potenziare l’impegno quotidiano. Mi assumo tutte le responsabilità dei futuri cambiamenti tra cui quello di fortificare lo studio della danza classica e sviluppare il repertorio, che vuol dire non solo lo studio delle variazioni ma inserire pezzi di corpo di ballo, dal terzo corso in poi, per imparare tutti i principi di base. Si, chiamiamole ‘innovazioni’. Una volta i solisti arrivavano dal corpo di ballo dopo una lunga gavetta, oggi non sempre è così, molti di loro arrivano con poca conoscenza specifica, non parlo di Napoli ma di tutto il mondo. Sicuramente sbaglierò qualcosa ma bisogna osare, non sono un genio, il poco che so l’ho imparato da persone illustrissime con le quali ho studiato per anni. Il discorso vale anche per la danza contemporanea, cercherò di far conoscere ai ragazzi quello che si fa più o meno dovunque. Il mio ruolo è prendere per mano ogni singolo allievo, accompagnarlo, guidarlo. Per ora sogno di fare in modo che ognuno di loro possa inserirsi nel mondo del lavoro. Poi si vedrà.

Che cosa la colpisce in un danzatore?

I canoni classici. Sono un po’ contrario all’affermazione di  Maurice Béjart “la danza è per tutti, tutti possono ballare”. A livello amatoriale va bene ma se ci si riferisce ad un professionista, siamo lontani un miglio. Mi colpiscono il carisma, la passione. E naturalmente la tecnica.

Che cos’è l’umiltà?

Un concetto un po’ perso, spero di sbagliarmi. ‘Io sono, io ho fatto’…mi fanno venire l’ allergia. Detesto parlare di me e soprattutto di quello che ho costruito negli anni. Quando insegno non mi cambio mai, cosa devo mostrare? magari anche in maniera sbagliata perché non sono allenato e non ho nessuna intenzione più di farlo…I miei maestri non mi hanno mai mostrato niente, quello che serve è che l’allievo arrivi a capire e a sentire come eseguire un passo. Il nostro non è un lavoro copia-incolla, bisogna partire dalle sensazioni.

Che cosa la emoziona?

Tutte le belle cose. Una musica, mia figlia Océane quando ride (ha nove mesi), delle parole profonde, un teatro meraviglioso come il San Carlo. Io vivo di passioni, e non è retorica. La cosa più bella è il contatto con la gente, ho pochissimi amici veri, anche se ultimamente ho scoperto di averne tanti … Sono una persona che dice quello che pensa. Dovrei imparare ad essere più diplomatico, il problema è che quello che penso si legge perfettamente sul mio viso.

Tre aggettivi che la definiscono?

Generoso, allegro, intransigente.

Che cosa è cambiato nel mondo della danza in questi ultimi anni?

In Italia la cultura sta malissimo, come in Francia, un po’ meno in Germania. E’ tagliata dalla politica. Un tempo si investiva nell’arte, ora non più ; i fondi per i teatri sono completamente chiusi. Ci sono stati molti abusi , molti soldi spesi con esagerazione. Il poco che rimane per la cultura non viene investito per la danza mentre la musica e l’opera non si toccano. Ci sono pochissimi sbocchi per i ballerini. La situazione dell’Arena di Verona è disastrosa, nessuno parla, nessuno fa niente e tutto questo è scandaloso. Nel mio ruolo di oggi non ho potere ma se in futuro dovessi avere un incarico più alto farei nomi e cognomi. La chiarezza innanzitutto.

Lei era già stato a Napoli e anche al Teatro San Carlo, dove ha ballato negli anni 80.

Mi sono innamorato subito della città e dei napoletani, persone istintive proprio come me. La bellezza della città e della sua gente è abbagliante. Al Teatro San Carlo ho vissuto le sensazioni sceniche più intense, l’atmosfera è veramente magica.

Che cos’è la danza per lei?

Una parte di me, ce l’ho nel sangue. È come sposare un ideale.

Elisabetta Testa

No Comments

Rispondi