Sara Sancamillo, "la danza è un percorso personale"

Due grandi occhi neri le illuminano il volto. Magrissima, un corpo sinuoso dalle doti infinite, ha una spiccata sensibilità che, unita all’equilibrio di una saggezza costruita nel tempo, la rende speciale. Intelligente e allegra, versatile e profonda,  Sara Sancamillo (nella foto di Francesco Squeglia) – da anni nella compagnia del Teatro San Carlo – è una persona affidabile e scrupolosa nel lavoro con una luce in più in palcoscenico, dove sembra essere perfettamente a proprio agio. Nel ruolo di Clara, la protagonista de Lo Schiaccianoci  ha convinto proprio tutti con la bellezza delle linee e la forza espressiva, a cui fa eco una tecnica precisa e raffinata, frutto di tanto lavoro.Mi racconta la sua storia dall’inizio?Sono nata a Palestrina, in provincia di Roma, nel 1982. A quattro anni ho cominciato a studiare danza in una piccola scuola del mio paese, tra le montagne appenniniche,  nessuno nella mia famiglia lavorava nel campo dell’arte. Non so dire com’e nata la mia passione per la danza, so solo che volevo ballare. A undici anni sono entrata all’Accademia Nazionale di Danza di Roma, dove ho seguito tutto il mio percorso fino al diploma  con una piccola parentesi di due mesi alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala da cui sono scappata perché non era per me…non ho mai messo la danza davanti alla mia vita. Volevo essere un’adolescente normale, vivere come fanno tutti, studiando danza. Credo che questo mio equilibrio interiore mi abbia salvata da tutte quelle patologie che a volte si accompagnano alla danza. Sono tornata in Accademia, ho avuto la fortuna di incontrare la maestra Clarissa Mucci che di nascosto, ero già maggiorenne, mi ha fatto fare le prime audizioni. E stata lei ad insegnarmi l’amore per questo lavoro, al di là della tecnica che può sempre migliorare. Ho ballato al Teatro Comunale di Firenze e all’Arena di Verona prima di venire presa al Teatro San Carlo dove ho scelto di restare nel 2003, sotto la direzione di Elisabetta Terabust. Sono entrata nel corpo di ballo e pian piano ho costruito il mio percorso,  un po’ diverso da quello che hanno i ragazzi di oggi. Ho fatto molta gavetta.Chi ha inciso di più nel suo percorso?Tante persone. Penso alle mie colleghe tra cui Giovanna Spalice, Corona Paone, Alessandra Veronetti e Roberta de Intinis che sono state prime ballerine, o ai maestri che sono passati dal teatro, ai piccoli ruoli che interpretavo o a quelli che per qualche motivo non ho sopportato o digerito. Ciascuno di loro mi ha lasciato qualcosa. L’ho capito dopo, a vent’anni vedi la danza in maniera diversa, c’è competizione e sei più portato a guardare l’altro che te stesso, poi si cresce e ti accorgi che la danza è un percorso personale. Trovo che la competizione sia inutile perché è un percorso che fai da sola.Quali sono state le difficoltà?È stato difficile conciliare il mio carattere con l’arte della danza perché non sempre mi ci sono buttata a capofitto, spesso ho avuto alti e bassi. E poi non è stato semplice scontrarmi con un corpo molto dotato, con aspettative molto alte mentre la realtà non sempre le ha compensate. A quindici anni ero considerata un prodigio, quando ho cominciato a lavorare pensavo di poter fare grandi cose invece il percorso è stato molto lento e questo all’inizio mi ha creato dei problemi. Sono sempre stata disciplinata anche se non molto costante, ci sono stati periodi in cui mi sono lasciata andare per momenti di vita particolari e altri in cui mi sono totalmente immersa nel lavoro. Crescendo si diventa più equilibrati. È da poco tempo che ho fatto pace con me stessa.Che cosa la colpisce in un danzatore?La bellezza unita all’anima, la danza per me resta un linguaggio di comunicazione, abbiamo una tecnica codificata che però racconta qualcosa, nel momento in cui non comunichi diventa ginnastica e non mi piace più. I canoni di bellezza della danza sono quelli, non si scappa. Certo nel corso degli anni sono cambiati, si sono evoluti adeguandosi ai tempi  ma l’anima di un ballerino è l’elemento più importante, quando danza deve comunicare un’emozione.Che cos’è l’umiltà?Credo che sia il non sentirsi mai all’altezza ma lottare per arrivare ad esserlo. Quando escono le liste in teatro penso sempre: “Come farò a interpretare quel ruolo?”, poi mi metto in sala e ci lavoro, facendo di tutto per riuscirci. E’ importante anche guardare gli altri perché c’è sempre da imparare,  anche dai ragazzi  più giovani di me, pieni di entusiasmo. Crescendo si diventa più razionali e l’entusiasmo un po’ si perde di vista, invece loro mi ricordano che devo averlo perché solo con una forte spinta riesci ad ottenere dei risultati faticosi.Ce l’ha un mito, un modello a cui si ispira?Sono cresciuta tra gli anni ‘80/’90 quindi il mio punto di riferimento è stato Sylvie Guillem  che ha cambiato i canoni della danza classica. Senza di lei tantissime ballerine famose oggi non sarebbero diventate étoiles. Naturalmente anche Alessandra Ferri e Mikhail Baryshnikov poi ho avuto la fortuna di lavorare con Julio Bocca, quindi di conoscerlo personalmente…ho dei miti un po’ più antichi rispetto a quelli attuali…Che cos’è la forza?Quando pensi di non farcela più, che ormai sei arrivata al limite e invece c’è quella piccola parte di te che ti fa rialzare e ti fa andare avanti. Di solito una persona si accorge quanto è forte solo dopo che ha passato dei brutti momenti o quando ha vissuto un dolore intenso.Che cosa la emoziona nella danza?La nudità dell’anima. Quando un ballerino riesce ad essere vero, a mettere in scena un dolore, una felicità, una gioia immensa senza finzione, senza filtri. E non sempre accade.Che cosa le piace e che cosa non sopporta del mondo della danza?Non sopporto l’arrivismo, la cattiveria, la competizione non sana che è perfettamente inutile perché siamo tutti diversi, distoglie da quello che è l’obiettivo principale: lo spettacolo, che è rivolto ad un pubblico che viene a teatro con la voglia di emozionarsi, per passare due ore piacevoli. Mi piace il rigore, la continua ricerca di se stessi attraverso un linguaggio. In fondo tutte le mattine ci mettiamo alla sbarra e cerchiamo noi stessi,  cerchiamo la perfezione dentro di noi, è un qualcosa di metodico che ti dà un equilibrio, è quasi confortante. Sai perfettamente cosa andrai a fare e diventa un ritmo col quale inizi la giornata.Com’è cambiato il mondo della danza?Credo che sia diventato tutto un po’ più approssimativo. Ho studiato da ragazza col maestro Zarko Prebil tutte le volte che dovevo preparare un ruolo, ogni gesto aveva un significato, ogni movimento ci veniva spiegato in maniera precisa, questo purtroppo  non sempre accade… ci sono dei grandi ballerini per i quali la pantomima è diventata quasi inutile, superflua. Per me non è così, perché taglia una parte enorme del nostro lavoro che è arte. Oggigiorno ci sconvolgiamo guardando chi esegue quindici pirouettes ma non ci sorprendiamo più guardando un semplice port de bras fatto con sentimento che ti spiega io chi sono e ti racconta che magari mi sono innamorato di te. Questo non è bello.Le è mai capitato di avere paura?No ma sono molto emotiva e prima di entrare in scena, soprattutto laddove ci sono grandi difficoltà che ho dovuto lavorare particolarmente, ho sempre l’ansia di non riuscire a mantenere uno standard che mi sono prefissata però poi ho imparato a gestire sia l’ansia che l’emotività e una volta che sono in palcoscenico cerco sempre di essere serena, di godermi passo per passo quello che faccio. Ogni movimento ha un significato e alla fine non si può dividere la danza, ogni passaggio racconta una storia e il passo diventa un mezzo. Si può anche sbagliare una parola ma un bel discorso avrà comunque un senso compiuto. Questa è una cosa che ho imparato da grande e non sempre ci riesco ma le sfide con me stessa sono stimolanti. Spesso in teatro mi affidano ruoli complicati, difficili, quasi mai mi tiro indietro, alla fine ci devo riuscire…combatto, e questo mi rende orgogliosa.Tre aggettivi che la descrivono?Empatica, autoironica, a volte un po’ patetica… nel senso che quando comincio qualcosa posso essere anche un po’ pesante perché mi lamento pensando di non farcela, poi piano piano lavorando mi tranquillizzo. Forse è un modo per esorcizzare le difficoltà.Che cosa rappresenta il Teatro San Carlo per lei?Un posto che ho scelto, e poi ho la fortuna di lavorare nel teatro più bello del mondo! Mi è sempre piaciuto il clima di questa compagnia, qui ho sempre trovato un calore tutto napoletano che, non me ne voglia nessuno, non ho trovato a Verona o a Firenze…in quanto al mio percorso tutte le mattine mi sveglio e mi sento una privilegiata, perché faccio il lavoro che ho scelto nel luogo dove ho scelto di stare e questo nel 2016 è un grandissimo traguardo. C’è molto da fare ancora, penso che un ballerino non si senta mai arrivato ma guardandomi indietro ho realizzato già tanto… naturalmente spero che il futuro mi riservi ancora cose belle. Non so dire quello che vorrei, ho imparato che avere troppe aspettative porta tante delusioni, non averne proprio porta un appiattimento, perciò vivo quello che mi viene dato al momento e cerco di viverlo al meglio, dando il massimo. È un modo di vivere più comodo, che mette al riparo anche dalle delusioni ma preferisco vivere cosi, lavoro meglio e mi sento più serena.Qual è una dote che non può mancare ad un ballerino: la bellezza, le doti, l’espressività, la tecnica?Deve avere tutti questi elementi, con l’aggiunta dell’intelligenza, perché le doti fisiche senza intelligenza non portano a niente. Se lavori bene riesci a colmare qualunque lacuna e parla una che è nata dotata… In realtà io ho dovuto lavorare proprio su questo più di tutto, e continuo ancora a farlo. E’ sbagliato pensare che la gamba si alzi da sola o che il piede si possa stendere senza fatica… non è così, all’inizio del mio percorso mi è mancata la capacità di saper gestire le attitudini. Non si finisce mai di imparare. La ricerca è l’unica cosa che ti stimola ogni giorno a ricominciare tutto daccapo.Che cos’è la danza per lei?Ci devo riflettere…fa parte della mia vita da così tanto tempo che non saprei vivere senza. Ma per rispondere bene alla domanda credo che la danza sia un’amica, della quale non posso fare assolutamente a meno e con cui ogni tanto discuto un po’.Elisabetta Testa

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