Gianluca Schiavoni:”la mia versione di Alice, al Teatro San Carlo, sarà originale”

Quando parla è un fiume in piena. Ha tanto da raccontare ed è difficile fermare l’entusiasmo che lo avvolge mentre spiega in maniera dettagliata il processo creativo di un progetto varato tre anni fa, quello di Alice nel paese delle meraviglie, una nuova produzione per il Teatro San Carlo. Da un po’ di tempo Gianluca Schiavoni, a tutti gli effetti ballerino del Teatro alla Scala ancora per qualche anno, si è dedicato alla coreografia con molta passione e tanta determinazione.

Com’è entrata la danza nella sua vita?

Ci è entrata relativamente tardi, avevo quattordici anni. Sono nato a Roma e i miei primi passi di danza li ho fatti nella scuola privata del mio maestro Giuseppe Urbani, primo ballerino del Teatro dell’Opera. A spingermi è stata la passione per la musica, prima facevo teatro e ho lavorato anche in un film Il coraggio di parlare, con la regia di Leandro Castellani, che ha vinto l’Orso d’oro al Festival di Berlino. Mi hanno premiato con il Grifone di bronzo al Giffoni Film Festival e senza dubbio si sarebbe potuta aprire un’altra strada per me perché mi erano arrivate proposte interessanti da registi come Nanni Loy e Mauro Bolognini ma alla fine ha prevalso l’amore per la musica e la danza. Ho concluso gli studi alla Scuola di Ballo della Scala dove ho incontrato la maestra Anna Maria Prina con la quale ho avuto un bellissimo rapporto professionale perché è una donna molto forte ed energica. Sono entrato al settimo corso e una volta diplomato sono stato preso in compagnia, prima con la direzione di Giuseppe Carbone poi con quella di Elisabetta Terabust. Faccio ancora parte del Corpo di Ballo anche se ho interpretato ruoli da solista e da primo ballerino. Frédéric Olivieri, già direttore della compagnia e da pochi giorni riconfermato per altri tre anni, con le sue notevoli capacità manageriali riusciva sempre a coinvolgere personaggi internazionali, tra questi, circa dieci anni fa, venne in teatro Jacopo Godani. Da quel momento per me si è aperto un mondo, lo ringrazio tantissimo per avermi fatto capire che ci si può esprimere a prescindere dal linguaggio accademico. Nella mia carriera ho avuto modo di lavorare con vari coreografi contemporanei ma Godani – al di là del fatto che è una persona simpatica, semplice, affabile – ha un tipo di movimento fantastico e attraverso il suo lavoro ho compreso che potevo utilizzare un tipo di risorse che era solo mio. Un anno dopo questa esperienza, nel 2009, ho creato il mio primo solo Andromeda.

Quali sono state le difficoltà nel suo percorso?

La voglia enorme di ballare ti porta a credere di poter fare qualunque cosa ma chiaramente non è così, non tutti possono fare tutto, è una legge che bisogna accettare. A volte è stato difficile affrontare un ruolo, rispettare la disciplina, il rigore, ho sofferto per la lontananza da casa…ma tutto sommato sono stato molto fortunato.

Da ballerino a coreografo… com’è nato questo desiderio?

Penso che sia un’esigenza interiore, ho sentito la necessità di muovermi, probabilmente per sfogarmi.

Come nasce una sua creazione, dalla musica, da una storia, da un’emozione?

Quasi sempre dalla musica oppure da un’idea. La musica ha un forte potere poi c’è spesso un’immagine che si cerca di sviluppare. Un balletto astratto, per l’esperienza di illustri colleghi molto più bravi di me, è sicuramente più complicato da realizzare.

Che cosa la colpisce in un danzatore? La sensibilità artistica, la bellezza, la musicalità, l’armonia, l’intelligenza del corpo?

Tutte queste cose, il problema è che raramente i danzatori le hanno tutte insieme. Diciamo che dipende dal tipo di spettacolo che devo fare e da quale linguaggio coreografico scelgo. In ogni caso mi rendo conto che la bellezza ha un peso significativo sia per gli uomini che per le donne, non amo le brutte linee. Sono sicuro di poter utilizzare qualsiasi tipologia di ballerino però amo l’estetica che vorrei non fosse abbinata al vuoto.

Che tipo di linguaggio coreografico utilizza nelle sue creazioni?

Credo di essere abbastanza decifrabile, venendo da un teatro come la Scala. Premetto che secondo me oggi nessuno inventa più nulla… ci sono stati dei geni del passato che hanno sradicato quello che si poteva sradicare. Oggi vedo molti spettacoli geniali, interessanti nell’idea ma il linguaggio specifico è un crogiuolo di quelle che sono le proprie esperienze e le mie sono state per vent’anni legate alla danza classica con importanti iniezioni di danza contemporanea. Mi piace andare anche oltre, dipende sempre dal tipo di progetto che mi commissionano. Il problema è che le danzatrici contemporanee non sanno andare sulle punte, che a me piacciono molto perché rendono le gambe più belle.

Che cosa la emoziona nella danza?

La possibilità di esprimere le proprie emozioni come la gioia, la frustrazione, la rabbia, l’amore, sulla musica che esalta ogni stato d’animo. Credo che nessun’altra forma d’arte ti permetta dal vivo questo possibile contatto che è come un rito. E poi la presenza del pubblico crea un forte impatto emotivo, innegabile. Ballare in un teatro vuoto è tutta un’altra cosa…Alcune coreografie riescono ad esaltare queste emozioni, altre sono puro intrattenimento ma fatto bene non è facile neanche quello.

Qual è stato il momento più bello della sua carriera, quello che ricorda con più felicità?

Un flash, se devo essere sincero, non c’è mai. Vivo sempre il risultato della creazione con un po’ di ansia, non si capisce quello che succede fin quando non lo si vede finito e con il responso del pubblico. La parte del lavoro che amo di più è tutto quello che succede prima dello spettacolo, il contatto con i ballerini, il processo di creazione, dopo si tirano le somme di che cosa non ha funzionato e che cosa si può migliorare.

Nel 2014 ho creato Medea per il Balletto di Estonia, è uno spettacolo veramente bello che continuano a mettere in scena, poi quando si riesce ad avere la musica eseguita dal vivo è il massimo…quasi tutti gli enti lirici chiedono l’orchestra perché rende lo spettacolo più importante ma, non è una polemica, è una realtà tutta italiana perché all’estero tante produzioni meravigliose vengono fatte con musiche registrate.

Com’è nata l’idea di presentare al Teatro San Carlo il balletto Alice nel paese delle meraviglie? E’ una versione classica o contemporanea?

Alice nel paese delle meraviglie è un progetto che risale al 2014-2015 e mi è stato commissionato da Lienz Chang, maître de ballet con funzione di direttore del Corpo di Ballo in quegli anni. All’inizio ero abbastanza scettico però il balletto andava incontro alla realtà della compagnia, alle necessità del teatro e al tipo di pubblico. E’ una creazione per il Teatro San Carlo, fedele al testo di Lewis Carroll ed è una produzione molto impegnativa per il numero di personaggi, per la quantità di scene, per i tempi di realizzazione. Quando è subentrato il nuovo direttore della compagnia, Giuseppe Picone, tante cose sono cambiate ma il progetto è andato avanti.  Sulla carta credo che sia uno spettacolo molto bello che rappresenta l’esaltazione della libertà e della fantasia, tra l’altro ci avvaliamo di tecnologie importanti che in Italia cominciano da poco a vedersi, mi riferisco alle proiezioni video di Sergio Metalli che è un maestro. Le musiche sono di Čiajkovsky – di cui siamo riusciti ad utilizzare tantissimo materiale inedito per il balletto, cosa praticamente impossibile – e Chačaturjan.

Come mai la scelta di questi due compositori?

La risposta è semplice, tra gli autori che riescono a raccontare una storia in modo piacevole e pertinente Čiajkovsky è il numero uno e poi c’è un motivo economico: non si devono pagare i diritti. La sua musica racconta sempre qualcosa, penso a La tempesta o a brani presi da una sinfonia. La nostra fortuna, o magari anche la nostra capacità, è stata quella di riuscire ad adattarla alla storia. Chačaturjan l’abbiamo scelto per la bellezza musicale, oltre alla Masquerade Suite da cui abbiamo preso molti pezzi abbiamo selezionato anche la famosissima Danza delle spade perché dava la possibilità di raccontare le vicende di Alice in modo ameno. Il balletto è diviso in due atti, l’unica cosa che ho aggiunto sono Pinco-Panco e Panco-Pinco che in realtà fanno parte del secondo libro di Lewis Carroll: Attraverso lo specchio. Il secondo atto, a differenza del primo che ha un uso massiccio delle proiezioni e prevede l’incontro di Alice con una moltitudine di personaggi che dovrebbe essere una goduria per gli occhi, si svolge nel giardino della Regina di cuori e potrebbe tranquillamente rievocare il divertissement del terzo atto de La Bella addormentata con un ritmo decisamente piacevole, in cui ci sono molti momenti divertenti. Abbiamo parafrasato l’inizio, che sarà una sorpresa, e che mi dà la possibilità di agganciarmi alla storia in un modo, mi permetto di dire, originale, che non ho visto in nessun’altra versione tra quelle visionate prima di creare la mia. Cercavo un’Alice dei nostri giorni, è chiaro quindi che ho creato una versione contemporanea, ci sono momenti in cui le due anime – quella neoclassica, oserei dire leggermente balanchiniana, e quella contemporanea – emergono in maniera netta. Il contributo del corpo di ballo (composto da circa quaranta elementi) è importantissimo. Tra le proiezioni e la bellezza della musica, Alicia Amatriain è una protagonista eccezionale, è una ballerina di grandissima esperienza ed ha anche una vena di follia che è perfetta per il ruolo, molto difficile ed impegnativo perché Alice è sempre in scena e vive tante emozioni diverse. Saranno due ore magiche, almeno per come ho costruito lo spettacolo nella mia mente, anche se è una storia che si sarebbe potuta realizzare in mille modi diversi. L’uso delle proiezioni rispecchia il modo in cui la gente si aspetta che tu gli racconti una storia, un utilizzo scenografico teatrale diventava troppo complicato e ci sarebbe voluto un capitale economico ingente. La versione del Royal Ballet è una co-produzione che è costata milioni di sterline, noi siamo dovuti rientrare nel budget che ci ha messo a disposizione il Teatro San Carlo.

Che cosa significa per lei, coreografo contemporaneo, mettere in scena un balletto narrativo?

Non è mai facile raccontare una storia, però il canovaccio aiuta anche se in qualche modo vincola. Nella danza contemporanea fai la tua coreografia, prendi la musica che ti serve – spesso le due cose sono completamente separate, come ci insegnano illustri personaggi del calibro di Merce Cunningham o William Forsythe – ed è fatta. Il viaggio di Alice apre mille possibilità creative, bisogna vedere quale scegliere… come coreografo ho le mie tappe, esattamente come i capitoli del libro, si tratta di riuscire ad adattare la propria immaginazione alla realizzazione della vicenda, meglio se in modo originale, senza tradire lo spirito del testo.

Che cos’è per lei la fantasia?

Ogni qual volta ho un’intuizione, spalanco gli occhi e vedo quello che sta succedendo. E’ un dono.

Senza pensarci troppo mi dice tre aggettivi nei quali si identifica?

Testardo, sognatore, passionale.

Che cos’è la danza per lei?

Libertà.

Elisabetta Testa

 

 

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