Antonina Randazzo,"senza la danza mi sento persa"

Ha formato centinaia di piccoli ballerini, molti dei quali sono diventati veri professionisti. Con rigore, pazienza, grinta e dedizione, li ha aiutati a crescere nei primi anni di studio, quelli più difficili, costruendo le basi della loro tecnica. Da trent’anni Antonina Randazzo lavora alla Scuola di Ballo del Teatro San Carlo, la più antica d’Italia, orgogliosa di far parte di un pezzettino di storia del teatro più bello del mondo.

Nata a Palermo, ma vissuta a Roma prima di trasferirsi definitivamente a Napoli, Antonina Randazzo è un punto di riferimento per tutti i suoi allievi.

Com’è entrata la danza nella sua vita?

Da piccola mia madre mi portava sempre al Teatro dell’Opera ma quando capitava, raramente, di vedere un balletto in televisione piangevo per l’emozione. Così ho cominciato a studiare all’Accademia Nazionale di Danza dove Zarko Prebil è stato il mio insegnante del Corso di Perfezionamento e del Corso di Formazione per Insegnanti. Ha rappresentato un punto fermo per la conoscenza e la grande capacità che aveva nell’insegnamento per il quale non basta saper ballare. Mi ha fatto riflettere molto sul rapporto tra maestro e allievo, Prebil sapeva trasmettere tantissimo a livello tecnico ma un po’ meno dal punto di vista umano. Sapevo che per relazionarmi ai miei allievi avrei dovuto trovare un punto d’incontro, rispettarli per essere a mia volta rispettata. E’ l’unico modo per riuscire ad ottenere di più.

Quali sono state le difficoltà?

Il primo anno mi annoiavo molto nel ripetere sempre gli stessi esercizi, lenti, precisi, rigorosi. Nella mia mente la danza era un qualcosa di dinamico, mi sentivo limitata e costretta con due mani alla sbarra di faccia al muro, non credo di essere stata molto brava all’inizio ma poi la situazione è migliorata. Sono sempre stata una persona sensibile e spesso mi avvilivo per le tante difficoltà da superare. Ho imparato a sviluppare una forza interiore, il motore che spinge ad andare avanti.

Com’è nata l’idea di insegnare?

Avevo cominciato con l’idea di ballare poi ho attraversato un momento molto difficile nella mia vita perché ho perso mio padre, a vent’anni dovevo decidere cosa fare. Mia madre non mi poteva mantenere. Nel frattempo, avendo finito il mio ciclo di studi, insegnavo già in Accademia. L’allora direttrice Giuliana Penzi mi teneva molto in considerazione, ero una delle allieve più giovani e quando le offrirono la direzione della Scuola di Ballo del Teatro San Carlo mi volle al suo fianco. Era un’ottima proposta che non potevo rifiutare. Non ho mai pensato che fosse una soluzione definitiva nella mia vita, fino a quel momento tutto era stato facile e così decisi di trasferirmi a Napoli per un po’. Invece ci sono rimasta definitivamente perché ho conosciuto il mio amore e, a quel punto, ho fatto una scelta di vita. Per sei anni ho ballato all’Arena di Verona e contemporaneamente ho insegnato al Teatro San Carlo. E’ stato molto pesante riuscire a conciliare le due cose però entrambe mi davano emozioni forti: l’insegnamento mi faceva crescere e allo stesso tempo restare giovane, danzare mi riempiva l’anima. Mi sono sposata e ho avuto due figlie, Marta e Carolina e a distanza di anni sono molto felice della scelta che ho fatto. La vita va come deve andare.

Gli anni del Teatro San Carlo sono stati impegnativi?

Ho vissuto il momento di ricostruzione della scuola, si sono susseguite due direzioni, la signora Penzi per un anno e Zarko Prebil per i successivi tre. Da lì in poi, senza direzione, la situazione era a dir poco vacillante, è doveroso da parte mia ringraziare Anna Razzi, perché ha creduto fortemente nella Scuola di Ballo del Teatro San Carlo. Se oggi è piena di allievi è soprattutto grazie al suo lavoro.

Quali sono le difficoltà nel rapporto con i ragazzi?

Seguo una fascia d’età che va dai dieci ai quattordici-quindici anni, i ragazzi adolescenti sono più impegnativi di per sé, mentre i più piccoli sono ancora ingenui ed è certamente più facile farsi ascoltare, poi non hanno ancora una personalità ben definita, sono meno polemici. Nell’adolescenza si forma il carattere, a me non dispiacciono i ragazzi vivaci a patto che ci sia rispetto. Nell’arco di trent’anni posso dire che le generazioni sono molto cambiate.

Che metodo di studio utilizza la Scuola di Ballo del Teatro San Carlo?

Quello italiano di Enrico Cecchetti con una buona parte del metodo francese, l’Opéra di Parigi è uno dei templi della danza mondiale, lo stile francese è uno dei migliori senza nulla togliere alle altre grandi scuole.

Che cosa la colpisce in un giovane allievo?

Il talento! Inizialmente quando si sceglie non si può conoscere l’allievo dal punto di vista caratteriale, ciò che colpisce è la sua fisicità. Sono attratta dai corpi esili, ben proporzionati, con uno sguardo interessante; nel momento del contatto quotidiano ciò che mi colpisce è la sensibilità dell’anima, si vede subito in un bambino.

Che cos’è il talento?

Non saprei definirlo: qualcosa di speciale che non tutti hanno, che mi emoziona molto.

Qual è una dote che non può mancare ad un ballerino?

L’umiltà. Nell’accettare i consigli, nel cercare sempre di migliorare.

Che cosa le piace del mondo della danza e che cosa non sopporta?

Oggi di danza vera se ne vede poca, mi piace l’atmosfera, il sipario che si apre, percepire da ogni singolo ballerino un movimento che non è fine a se stesso, un lavoro di gruppo che nella coralità possa emozionare il pubblico. Il mondo della danza è irreale ma è a stretto contatto con la natura. Non mi piace la falsità.

La sua soddisfazione più grande?

Quella di ogni insegnante: vedere i propri allievi terminare il loro percorso ed inserirsi nel mondo del lavoro con risultati soddisfacenti, cosa molto difficile oggi per colpa della crisi che ci investe. E’ sempre minore la disponibilità di inserimento nel mondo del lavoro ma quando un allievo meritevole ha una giusta collocazione è una soddisfazione grande. Alcuni dei nostri allievi hanno dei ruoli di prestigio in teatri nazionali ed internazionali.

Qual è il suo ricordo più bello?

Ogni anno c’è un momento bello, da ricordare.

Che cosa la emoziona?

Non sempre mi emoziono, a volte entro in sala e mi metto le mani nei capelli perché penso: ”Chissà se ce la farò anche oggi.” Più di tutto mi emozionano i bambini, con i loro visi delicati che pendono dalle mie labbra, che si affidano totalmente a me. Mi dà una grande gioia.

Ha mai avuto paura?

Ogni giorno, più vado avanti e più penso che questo lavoro sia difficile, ogni anno sembra più impegnativo del precedente, forse si diventa sempre più responsabili, le difficoltà ci sono ogni giorno, tocca a noi riuscire a superarle.

Che cosa è cambiato in questi ultimi anni?

La difficoltà nel farsi rispettare, forse oggi i ragazzi sono molto più sicuri in confronto alle generazioni precedenti ma sono anche più distratti, hanno troppe cose. Le vecchie generazioni avevano poco e di quel poco facevano tesoro. Oggi anche i bambini hanno degli oggetti molto costosi, questo credo che li destabilizzi, ma è una difficoltà che si vive non solo nell’ambiente della danza. Manca loro lo stimolo, il senso del dovere, lo spirito di sacrificio. A livello stilistico è cambiato tantissimo, la danza si è evoluta forse anche troppo. Oggi un ballerino deve essere particolarmente dotato a livello estetico, forse in modo esasperato, non si trovano facilmente questi elementi così straordinari che possano competere con le esigenze attuali. Gli allievi hanno già tanti ostacoli nel loro percorso in più ci sono anche le difficoltà morfologiche.

Ce l’ha un sogno?

Ne ho tanti, ma non li dico mai. Nel lavoro sono abbastanza soddisfatta, certo, non si è mai contenti del tutto. Vorrei che i nostri allievi avessero maggiori opportunità in futuro, sia nel nostro teatro, per portare avanti il nome del San Carlo, sia all’estero.

Che cos’è la danza per lei?

E’ come l’aria che respiro, come il cibo, senza la danza mi sento persa. Mi nutro di quello che faccio ogni giorno. E mi piace molto.

Elisabetta Testa

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