Alessandro Macario, "impossibile diventare grandi se non si è umili"

Punta di diamante della compagnia del Teatro San Carlo, da anni interpreta i ruoli da protagonista in qualità di primo ballerino ospite, riscuotendo ogni volta un meritato successo personale. Sicuro di sé sulla scena, Alessandro Macario (nella foto di Francesco Squeglia), napoletano, somma una tecnica pulita, possente, ad un forte temperamento. Continuamente in giro tra l’Italia e l’estero – dopo l’enorme consenso de Lo Schiaccianoci ha concluso da pochi giorni la tournée con Coppelia di Amedeo Amodio – ogni volta che torna nel suo teatro ha un’emozione in più.

Come ha cominciato?

Avevo quattro anni quando mia madre decise di farmi studiare danza perché avevo un po’ di scoliosi. A dieci anni sono entrato nella Scuola di Ballo del Teatro San Carlo, diretta da Anna Razzi, dopo un periodo di incertezza ho capito che era la mia strada e sono andato avanti con una motivazione sempre più forte, fino al diploma.

Quali sono state le difficoltà?

Nel periodo dell’adolescenza mi sentivo diverso da tutti i miei amici, volevo divertirmi ma passavo tutto il mio tempo in teatro, a studiare…pur avendo un fisico dotato sono cresciuto molto in fretta e non avevo ancora una muscolatura adeguata, ho dovuto lavorare tanto. C’è stato un periodo in cui avevo deciso di lasciar perdere tutto, non mi impegnavo più, ero confuso, desideravo una vita normale…rinunciare al divertimento, alle uscite con gli amici, è stato davvero pesante. A superare questo momento di crisi mi ha aiutato molto la signora Razzi!”.

Lei ha avuto tante esperienze diverse, dalla Scala di Milano al Maggio Musicale Fiorentino, dal Teatro San Carlo al Tokio City Ballet. C’è qualcuno che l’ha aiutata nel suo percorso?

Sicuramente due persone: Anna Razzi ed Elisabetta Terabust. Mi hanno fatto crescere dal punto di vista professionale, tecnico ed espressivo. A loro devo molto, per la fiducia che hanno avuto in me.

Tempo fa Maximiliano Guerra l’ha invitata a partecipare ad un gala in onore di Rudolf Nureyev, non capita a tutti…

Conosco Maximiliano da molti anni ed è sempre stato un modello di ispirazione per me. E’ stato il primo danzatore che ho visto ballare dal vivo, con una tecnica strepitosa e un virtuosismo irraggiungibile. Mi ha invitato tante volte a ballare in giro per l’Italia, oltre ad essere un artista straordinario e un ballerino fantastico, ha una grande umanità.

Che cosa le piace del mondo della danza e che cosa non sopporta?

Mi piace la danza! Stare in scena, fare le prove, gli spettacoli e soprattutto ricevere gli applausi del pubblico, che gratificano il nostro lavoro. Quello che non sopporto è tutto il contorno…

E’ ambizioso?

Si, anche se non penso a diventare famoso ma ad esprimermi a modo mio attraverso i ruoli che di volta in volta interpreto. Amo il mio lavoro e cerco sempre di dare il massimo.

Quanto conta l’umiltà per un danzatore?

Tanto! E’ impossibile diventare grandi se non si è umili. I migliori ballerini sanno che devono mettersi in discussione ogni giorno. Chi sa di essere qualcuno non ha bisogno di darsi arie inutili, di dimostrarlo ogni volta.

E’ difficile oggi essere un ballerino?

E’ un sogno! E’ talmente difficile riuscire a lavorare, soprattutto in Italia, che chi riesce a farlo è veramente fortunato!

Qual è il suo ruolo preferito?

Mi sento portato più per i ruoli virtuosistici…per esempio Basilio in Don Chisciotte ma amo molto anche Romeo. Due ruoli diversi che rispecchiano i due aspetti del mio carattere: la forza e la sensibilità romantica.

Lei ha danzato sia balletti del repertorio classico che coreografie contemporanee, potendo scegliere, quale stile sente più vicino?

Sicuramente quello classico che mi è più congeniale anche perché la mia formazione è stata accademica. Ho più difficoltà ad esprimermi nel linguaggio contemporaneo.

Che valore hanno per lei le emozioni?

Sono fondamentali. Prima di entrare in palcoscenico, l’emozione è così forte che taglia le gambe…se si riesce a trasformarla in energia positiva, attraverso la concentrazione, si può ottenere una carica enorme. E’ un processo psicologico.

Qual è una dote che non può mancare ad un ballerino?

L’umiltà. Ballare significa trasmettere emozioni, la tecnica è solo il mezzo per poterlo fare. Certo un bel corpo aiuta ma quel che conta di più è la sensibilità interiore.

Ha appena concluso la tournée con Coppelia di Amedeo Amodio, al fianco di Anbeta Toromani. Com’è andata?

E’ un balletto a cui Amedeo Amodio tiene molto, un vero capolavoro. Nasce dalla rivisitazione del racconto L’uomo della sabbia di E.T.A. Hoffmann, ambientato in un set cinematografico degli anni ’50 il mio personaggio è Nataniele e quello di Anbeta, Clara (invece di Swanilda) mentre Coppelius è un regista. Coppelia è un balletto creato venticinque anni fa per la compagnia dell’ATER ma è ancora molto attuale. I lavori di Amedeo Amodio hanno una vena poetica, la ricerca del movimento è assolutamente moderna. Una bella produzione di Daniele Cipriani – con le scene di Emanuele Luzzati e i costumi di Luisa Spinatelli – e un’esperienza meravigliosa con una compagnia di ragazzi giovani, con tanta voglia di imparare. Siamo stati ospiti in tutti i teatri d’opera più belli d’Italia, da Siena a Modena e poi Roma, Massa Carrara, Padova, Catania. Una bella soddisfazione! Lavorare con Amedeo Amodio è sempre un piacere enorme, ho interpretato sia Romeo che Mercuzio nella sua versione di Romeo e Giulietta, e poi il passo a due di Carmen e Napoli zompa e vola che ha riscosso molto successo nella tournée in Russia qualche anno fa.

Ha un desiderio da realizzare?

Vorrei che il Teatro San Carlo avesse il prestigio che merita almeno per quanto riguarda la danza…sono napoletano e ho scelto di lavorare nella mia città, nel mio teatro. Quando non c’è lavoro siamo costretti ad andare altrove ma sono molto patriottico e ogni volta che mi è stata data la possibilità di ballare, sono sempre tornato.

Che cos’è la danza per lei?

E’ il mio lavoro ma soprattutto una passione fortissima che mi fa dimenticare tutti i sacrifici quotidiani. Non potrei fare altro nella vita.

Elisabetta Testa

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