Trisha Brown non c’è più

Coreografa statunitense, era nata il 25 novembre del 1936. Tra i fondatori del Judson Church Group, è una dei teorici dell’estetica post-moderna. Affascinata dai processi creativi, il suo cammino artistico parte da un interesse per i problemi coreografici e giunge ad un sistema di movimento fluido e senza pause, che caratterizza i suoi lavori. Si avvicina alla danza attraverso gli studi di danza classica, a cui fanno seguito quelli di modern dance e i seminari estivi al Connecticut College, dove studia con José Limon, Louis Horst e Merce Cunningham. Nell’autunno 1960 approda a New York e comincia a frequentare, presso lo studio di Cunningham, i corsi del compositore Robert Dunn.
In una prima fase, che dura dal 1968 fino ai primi anni Settanta, Trisha Brown coreografa una serie di lavori che sono conosciuti come “equipment pieces”. In questi pezzi vengono usati vari sistemi di sostegno, per esempio corde e imbragature di montagna, per cambiare sia il movimento dei danzatori sia la percezione da parte del pubblico. Due pezzi famosi di quel periodo sono: Man walking down the side of a building (1969) e Walking on a wall (1971). Il primo viene eseguito all’esterno di un deposito a Manhattan, il secondo al Whitney Museum di New York. In entrambi i casi l’uso di corde permette ai danzatori di muoversi in modo inconsueto, cambiando nel pubblico il senso e l’uso dello spazio.
La seconda fase creativa di Trisha Brown è rappresentata dagli “accumulation pieces”. Qui l’interesse della coreografa si sposta su problemi di accumulazioni matematiche. Con Primary Accumulation (1971), trenta movimenti sono ripetuti secondo la seguente sequenza:1; 1,2; 1,2,3;1,2,3,4; e così via.
Gli “accumulation pieces”, come le variazioni usate dai pittori Sol LeWitt e Mel Bochner, sono la visualizzazione di idee e mostrano quanto i primi coreografi post-moderni siano affascinati dai processi di creazione che li avvicinano ad artisti operanti in altri campi. In Roof Piece (1971) Trisha Brown dispone quindici danzatori sui tetti di Manhattan. Il lavoro affronta il problema della trasmissione dei movimenti: il movimento iniziato da un gruppo viene copiato da un altro, così il pubblico, situato anch’esso su un tetto, vede il movimento correre attraverso il cielo.
Verso la fine degli anni Settanta, Trisha Brown entra in una fase meno rigorosa e comincia ad usare scenografie e musica nei suoi pezzi, che vengono poi presentati in spazi teatrali più tradizionali rispetto ai precedenti. Glacial Decoy (1979) rappresenta la svolta in tal senso. Curato dall’artista americano Robert Rauschenberg, già collaboratore di Cunningham, il pezzo usa, come sfondo, una serie di fotografie in bianco e nero. Sia la danza sia le fotografie si muovono lateralmente attraverso il palcoscenico, dando l’impressione che tutto sia cominciato prima ancora dell’inizio vero e proprio dello spettacolo e che l’azione prosegua al di là della percezione del pubblico. Son of gone fishin’ (1981), Set and reset (1983) e Lateral pass (1985) rappresentno il passaggio dai pezzi più sperimentali a quelli più teatrali. In queste creazioni sono presenti sia la musica sia le scenografie e i costumi e Trisha Brown ottiene una particolare fluidità di movimento, cifra specifica di tutti i suoi lavori più recenti.
Fra i teorici dell’estetica post-moderna, Trisha Brown è stata colpita profondamente dalle teorie di Yvonne Raner ed è sempre stata una sperimentalista, affascinata dai processi usati per arrivare ad una coreografia.
Le diverse fasi nel suo cammino artistico l’hanno portata ad una fluidità di movimento continuo, caratteristica dei suoi lavori più recenti.
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