Roberto Bolle:”la dote più importante è l’umiltà”

Sembra un dio sceso in terra.
Fisico apollineo, perfezione tecnica da manuale, eleganza innata, Roberto Bolle (nella foto di Luciano Romano) è la punta di diamante della danza italiana nel mondo.
Schivo, riservato, gentile, concentrato più che mai sul suo lavoro che lo ha portato a danzare davanti al Papa, alla Regina Elisabetta, in giro per il mondo, ha sempre i piedi per terra mantenendo una sana umiltà, caratteristica solo dei grandi. La sua sensibilità va oltre il palcoscenico perché Roberto Bolle danza come è: un uomo intelligente, coltivato, simpatico, comunicativo. In pochi anni è schizzato ai vertici della danza planetaria eppure ha conservato la sua semplicità: ha un sorriso per tutti, è un artista generoso.

Com’è nata la passione per la danza?

E’ difficile dirlo esattamente, credo dalla televisione anche perché nella mia famiglia non ci sono artisti: sono un caso isolato. A undici anni mia madre mi ha iscritto alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala. Frequentare una scuola così prestigiosa è stata per me una fortuna, ho avuto delle solide basi su cui andare avanti e costruire un futuro. La scuola è di per sé la parte più importante della formazione di un ballerino. A diciannove anni sono entrato nella compagnia del Teatro alla Scala, diretta da Elisabetta Terabust, con ruoli da solista; a venti ho interpretato Romeo nella versione di MacMillan e un anno dopo, con lo stesso ruolo, sono stato promosso primo ballerino. Subito dopo sono stato invitato a Londra, all’English National Ballet, diretto da Derek Deane, per Il lago dei cigni e poi per Romeo e Giulietta. Il Times mi ha definito “Leonardo di Caprio della danza”.

Ha mai avuto difficoltà nello studio della danza?

Per un corpo come il mio le difficoltà sono sempre state quelle di avere una maggiore tonicità muscolare, una compattezza e una velocità che altri ballerini, meno alti di me, hanno per natura.

Quanti anni aveva quando Rudolf Nureyev la scelse per il ruolo di Tazio in Morte a Venezia?

Quindici. Ero nella scuola del teatro ed è stato un incontro importantissimo per me. E’ stata l’ultima volta che Nureyev era andato alla Scala per rimontare il suo Schiaccianoci e noi ragazzi  partecipavamo alle prove del corpo di ballo. Un giorno sono rimasto in sala a provare alcuni esercizi da solo, Nureyev è entrato e mi ha chiesto di fargli vedere qualcosa. Sono andato alla sbarra perché all’epoca non sapevo eseguire tantissimi passi ed ero molto emozionato: Nureyev era il mito della danza per tutti, già il fatto di trovarmelo davanti era spiazzante! Mi ha fatto delle correzioni e il giorno dopo mi hanno contattato i suoi assistenti: mi voleva nel ruolo di Tazio.

Che rapporto ha con il Teatro alla Scala?

E’ la mia casa, ci sono nato e cresciuto. Poi però ho deciso di staccarmene, rinunciando alla sicurezza di un posto fisso come primo ballerino. E’ stata una scelta difficile perché non sapevo a cosa sarei andato incontro.

Ha avuto un riferimento importante nella sua carriera?

Ci sono stati tanti eventi e tante persone che mi hanno aiutato. Devo ringraziare Elisabetta Terabust per aver avuto il coraggio di farmi emergere dal corpo di ballo. Sarei diventato sicuramente primo ballerino ma … a ventuno anni è diverso! Ho fatto tantissime cose a livello nazionale ed internazionale, bruciando le tappe di un percorso difficile!

Che cosa significa per lei aver ballato con le più grandi danzatrici del mondo?

Ora mi ci sono abituato ma è stata comunque una grandissima fortuna. Ho avuto partners come Sylvie Guillem, Alessandra Ferri, Altynai Asylmuratova, Darcy Bussel, Svetlana Zakharova, Polina Semionova…è stato un passaggio fondamentale della mia vita professionale ma anche difficile, mi sentivo  sempre un gradino sotto rispetto a loro, quando sono così grandi devi tirare fuori tutto il meglio per essere al loro livello e la crescita artistica è molto più veloce. Naturalmente la loro esperienza mi ha aiutato tantissimo.

C’è un ruolo che predilige?

Quelli interpretativi, pieni di pathos, come Albrecht, Romeo, Onegin e de Grieux- il protagonista di Manon di MacMillan- perché mi piace trasmettere emozioni. E’ bello scavare dentro di sé e interpretare ruoli intensi secondo il proprio modo di essere, e poi ogni sera può succedere in maniera diversa. Spesso mi invitano per ballare i classici del repertorio perché rientro nella tipologia del ‘danseur noble’ , sono adatto a fare il principe ma io preferisco le storie di grandi passioni.

Lei è in scena quasi ogni sera, nei teatri più importanti del mondo, con le partners più prestigiose, c’è un forte senso di responsabilità in tutto questo?

Si, e lo si percepisce. Da parte del pubblico ci sono sempre grandi aspettative, alimentate dai mass-media e dall’attenzione spasmodica che circonda alcuni artisti. Più si va avanti e più le aspettative aumentano. L’uomo non è una macchina, ci sono degli alti e bassi fisiologici nel rendimento ma bisogna essere sempre all’altezza della situazione. Dal punto di vista psicologico è difficile essere sempre pronti, dover dimostrare ogni volta le proprie capacità, il proprio valore. Ballare davanti ad un pubblico significa essere continuamente sotto esame.

Che cosa ha significato nella sua carriera sfavillante ballare all’American Ballet Theatre come ‘principal’?

E’ stato il coronamento di un grande sogno, significa aver raggiunto la vetta della danza a livello mondiale. E’ stato un riconoscimento che non veniva dal mio teatro, la Scala, che è la mia seconda casa, il luogo dove mi sento più protetto, l’ABT è un prestigio internazionale, un luogo molto significativo.

Che cosa non sopporta del mondo della danza e che cosa invece le piace?

Mi piace l’atmosfera magica che si crea in palcoscenico durante uno spettacolo, il rapporto con il pubblico, la sintonia, lo scambio di energia che si manifesta attraverso gli applausi, il fatto che si riesca ad andare avanti per meriti. In palcoscenico bisogna dimostrare di essere il numero uno e per essere protagonisti ci vogliono delle qualità, il senso di abnegazione, il sacrificio quotidiano sono cose belle che sento molto. Il brutto è quando si perde il senso dell’arte, della danza.
In alcuni teatri italiani prevale forse più l’aspetto burocratico che quello puramente artistico. Tutto ciò che sta dietro le quinte di uno spettacolo a volte fa perdere il contatto con l’arte ma senza il lato organizzativo non si riuscirebbe ad andare in scena. Mi dispiace che nel nostro paese, rispetto all’estero, non ci siano delle strutture che mettano i ballerini in condizioni di lavorare al meglio. Mi riferisco alle sale da ballo, agli spazi per il Pilates, la fisioterapia, il Gyrotonic, che alleviano e fortificano il lavoro dei danzatori. In Italia le strutture sono rimaste uguali a cent’anni fa, non c’è stata un’evoluzione al passo coi tempi eppure la danza è cambiata, i limiti di un corpo vengono spinti sempre oltre.

Che cosa non può mancare ad un ballerino?

La dedizione, la costanza, la perseveranza. Bisogna essere disposti a sacrificarsi, essere consapevoli di dover lavorare tanto…le doti possono finire nel nulla. Si può avere un attimo di celebrità ma per durare a lungo ci vuole un percorso preciso da seguire.

Qual è la dote più importante secondo lei?

L’umiltà. E’ molto importante confrontarsi e rimanere con i piedi per terra. La danza porta a questo, a controllare il proprio corpo continuamente; le prove, gli spettacoli, si affrontano sempre con mille incognite, non si sa mai quello che può succedere…poi c’è l’aspetto positivo, l’adrenalina, la bellezza di vivere momenti sempre diversi.

Che cos’è il talento?

Un dono divino. Significa avere grandi doti che il lavoro può forgiare. Il talento è uno strumento che viene dato all’artista per esprimere la sua arte ed emozionare il pubblico, sta al ballerino usarlo nel migliore dei modi. ‘Talento’ è una parola dal significato molto ampio, il danzatore deve avere una notevole capacità ricettiva, saper adattare ogni movimento al proprio corpo, che è unico, e nessun altro può conoscerlo meglio di sé stessi. Insomma ce ne vogliono tanti di talenti nella vita!

Che cosa guida il percorso di un danzatore? L’intelligenza del corpo, l’istinto, la cultura?

Ci vogliono tante cose: una forte attitudine, sacrifici quotidiani, tenacia, grande forza d’animo e perché no…anche un pizzico di fortuna. E poi saper affrontare le sfide, i momenti difficili ci sono per tutti e bisogna essere pronti a superarli.

Qual è stata la cosa più difficile da imparare?

Il linguaggio moderno. Ho avuto una formazione classica e imparare il repertorio neoclassico, come per esempio quello di Forsythe, è stato difficile ma entusiasmante perché la danza moderna e contemporanea danno fluidità al movimento e una consapevolezza che la danza classica non dà.

Da molti anni è ambasciatore dell’Unicef in Italia. Che cosa significa mettere la danza al servizio di chi soffre?

E’ un grandissimo onore per me mettere la mia immagine al servizio di un’organizzazione che difende i più deboli. Le persone più fortunate, come me, possono rendersi utili per cercare di sconfiggere le ingiustizie del mondo. In un momento storico in cui si parla di guerra e distruzione, la danza, come tutte le arti, nutre lo spirito, fa sognare, emozionare, aiuta a vivere.
E’ un’arte di grande bellezza, armonia, leggiadria e comunica tutti questi messaggi al pubblico.
Un artista deve trasmettere anche sensazioni più profonde altrimenti rischia di rimanere chiuso nella sfera emotiva ed estetica. A volte può essere utile una finalità sociale, sensibilizzare l’anima delle persone a temi più crudi, attraverso la bellezza dell’arte. Sono veramente onorato di essere ambasciatore Unicef e di portare avanti questo ruolo attraverso viaggi in giro per il mondo e organizzando gala per raccogliere fondi.

Che cosa le fa paura?

Le malattie, la sofferenza, la vecchiaia. So che la mia carriera di ballerino è breve, il problema è che si fa tanta fatica per arrivare in alto, tanti sacrifici quotidiani in una lotta continua col proprio corpo e quando finalmente si è maturi per i ruoli più difficili sia tecnicamente che espressivamente, non si è più supportati dal fisico e dall’età. Lo dicono in tanti ma spero veramente di riuscire a fermarmi quando sarà il momento giusto, magari passerò dall’altra parte della scena a trasmettere la mia esperienza ai più giovani o a dirigere una compagnia.

Qual è stato il momento più bello della sua carriera?

Ne ho avuti tantissimi ma quello più bello è stato il giubileo della regina Elisabetta a Buckingham Palace. Un evento al di fuori delle mie aspettative, nella sala del trono a Londra…è stato un qualcosa di irreale che sembrava non potesse accadere nella realtà…io, con la regina e i suoi sudditi…è stato come vivere una favola!

Il successo l’ha cambiata?

Dentro di me non è cambiato molto. Non credo di essermi lasciato coinvolgere né stravolgere dal successo. Penso di avere i piedi per terra e sono rimasto semplice, come ero prima. La mia famiglia mi ha insegnato valori sani in cui credere. Atteggiarsi e pensare di essere chissà chi non ha proprio senso, dall’oggi al domani puoi non essere più nessuno.

Che rapporto ha con la solitudine?

Per lavoro mi trovo spesso solo in giro per il mondo. Non mi pesa la solitudine, anzi a volte mi manca, non mi sento a mio agio in mezzo a tanta gente.

E l’amore?

E’ la parte più importante dell’ esistenza, trovare l’anima gemella dà un senso alla propria vita. Nella mia vita c’è la danza, che assorbe quasi tutto il mio tempo. Ho già avuto tanto  e non sento l’esigenza di avere di più.

Che cosa è cambiato nel mondo della danza in questi ultimi anni?

L’evoluzione della tecnica che spinge il corpo dei ballerini oltre limiti sempre maggiori. La danza ne ha guadagnato ma il ballerino deve essere anche artista, ci vuole una giusta misura. E’ bello avere grandi potenzialità ma la danza è un’arte e le doti fisiche devono essere al suo servizio.

Che cosa ha imparato dalla sua carriera perennemente in ascesa?

La ricchezza viene dall’esperienza che ho avuto come uomo e come artista. Fin da giovanissimo ho avuto la possibilità di confrontarmi con il meglio.

Che cosa rappresenta il Teatro San Carlo per lei?

Prima di tutto è un teatro meraviglioso e poi è il teatro italiano, oltre alla Scala, dove ho ballato di più. Ho uno splendido rapporto con la compagnia che conosco da tanti anni e col pubblico che mi segue fin da quando ero giovanissimo. E ogni volta che torno a ballare mi riserva un’accoglienza commovente. Mi trattano come all’estero non avviene: c’è un calore unico e un’umanità speciale. Tutto questo mi dà una grandissima energia.

Che rapporto ha con i suoi fans e qual è il prezzo che si paga per essere uno dei più grandi danzatori del mondo?

Ho un rapporto bellissimo, a volte non riesco ad esaudire le loro richieste perché sono troppe! E’ difficile comunicare dopo lo spettacolo ma grazie al mio sito riesco, quando ho tempo, a leggere i loro commenti e a sentirmi più vicino. Il prezzo? Devo stare molto attento, tutelare la mia vita privata. Il rischio più comune è l’invasione nei miei spazi personali.

Che cos’è la felicità?

Un desiderio realizzato, come il mio. Poter fare quello che ho sempre sognato fin da piccolo: ballare. Incentrare la propria giornata, la propria vita, su qualcosa in cui si crede fino in fondo è un grande passo avanti verso la felicità, che di per sé forse non esiste neanche. Credo che l’essere umano non sia portato al raggiungimento di una felicità completa, si è sempre preoccupati di ciò che manca invece di concentrarsi su ciò che si ha. Mi ritengo una persona molto fortunata, ho la possibilità di vivere la gioia di danzare ad alti livelli. Ho talento, un fisico dotato e delle potenzialità che ho sviluppato con tanto lavoro, anni e anni di studio, di sacrificio, di dedizione.

Dove vuole arrivare Roberto Bolle?

Penso di essere arrivato esattamente dove volevo, sono al vertice oltre il quale non c’è altro.
Cerco di mantenere il livello raggiunto, di continuare a ballare nei migliori teatri del mondo per il tempo che mi verrà concesso. Danzare mi arricchisce l’anima.

Ce l’ha un sogno da realizzare?

Qualcosa da voler fare a tutti i costi non ce l’ho, però mi piacerebbe partecipare ad un film sulla danza. Sarebbe un’esperienza diversa, interessante e potrebbe aiutare la diffusione della danza.

Che cos’è la danza per lei?

La mia vita. E tutta la mia vita è dedicata alla danza. Quando non sono in scena ho le prove e anche i momenti di riposo sono finalizzati allo studio. E’ così difficile essere sempre all’altezza delle aspettative, più si va avanti e più crescono. Mi impongo sempre maggiori pressioni a livello fisico e psicologico, siamo esseri umani ed è naturale avere alti e bassi ma quando si è ospite nelle migliori compagnie bisogna dimostrare di essere il migliore.

Elisabetta Testa

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