Paul Chalmer, "la bellezza rende sopportabile il mondo"

Una carriera luminosa al fianco delle più celebri ballerine del panorama mondiale, da Carla Fracci a Eva Evdokimova e Ghislaine Thesmar, maître de ballet nelle migliori compagnie, coreografo, direttore di compagnia, Paul Chalmer – un metro e ottantasette di bellezza abbagliante – è una persona speciale di rara sensibilità, dall’eleganza innata e sempre alla ricerca di emozioni artistiche.Una qualità di lavoro significativa e rifinita nei minimi particolari, come accade sempre meno di trovare in giro, si unisce a tanta cultura, esperienza da vendere e un senso estetico fuori dal comune, lontano dalla volgarità dilagante. Sempre in giro per il mondo, invitato di recente nella Repubblica Ceca per rimontare la sua versione di Cenerentola, Paul Chalmer, canadese di Ottawa, ha già in cantiere un nuovo progetto: un balletto sulla storia dei tre moschettieri.Com’è nata la sua passione per la danza?Sono andato a teatro con mia nonna la prima volta, a Montreal, a vedere Lo Schiaccianoci col National Ballet of Canada ed è nata una vera passione. Fin da piccolo ogni volta che ascoltavo la musica, in casa, ballavo sempre. A sei anni ho cominciato a studiare in una scuola privata, ad Ottawa, tre anni dopo ho fatto l’audizione per la National Ballet School di Toronto e mi hanno preso.  All’inizio piangevo spesso, è stata dura allontanarmi dalla mia famiglia, dai miei amici, dalla mia casa, lasciare la mia vita per affrontare un nuovo percorso.Con un corpo così bello e pieno di attitudini come il suo, che cosa è stato difficile?Ero piccolo per la mia età  e molto coordinato, all’inizio è stato facile imparare i passi, poi sono cresciuto in sei mesi e non avevo più muscoli, non mi reggevo in piedi. A tredici anni avevo un corpo nuovo, soffrivo di mal di schiena ed ero completamente scoordinato, ho passato due anni di inferno ed ero quasi deciso a lasciare la danza, non mi divertivo più. Sono tornato ad Ottawa per quasi sei mesi anche se mi mancava tutto: il teatro, la scuola, la danza. Così ho ripreso a studiare, con tutta la passione che avevo dentro di me e dopo un po’ sono entrato in compagnia. Imparare tutto il repertorio di Bournonville con Erik Bruhn, è stata una fortuna incredibile…erano anche gli anni in cui a Toronto c’era Rudolf Nureyev e gli spettacoli erano produzioni meravigliose e indimenticabili, da La Sylphide a Coppelia a La Bella Addormentata. Vedere in scena due ballerini straordinari come loro era una magia pura. Ho fatto numerose tournées in giro per il mondo, con la versione de La Bella Addormentata del 1972 Rudolf Nureyev ha cambiato la storia della compagnia del National Ballet of Canada, rendendola internazionale, conosciuta in tutto il mondo.Che cosa è successo poi?Ho visto Marcia Haydée e Richard Cragun in Onegin e volevo andare a Stoccarda per ballare tutto il repertorio di John Cranko, sono innamorato di Onegin, Romeo e Giulietta, La bisbetica domata, all’epoca nessun teatro aveva in repertorio questi balletti. A Stoccarda sono rimasto cinque anni, poi Montecarlo e Londra, all’English National Ballet dove ho avuto tre direttori, Peter Schaufuss, Ivan Nagy e Derek Deane; ho ballato tantissimo e ho cominciato anche a lavorare con Carla Fracci in Italia. Non sono mai stato fermo in una compagnia, se vedevo qualcosa che mi piaceva prendevo la valigia e partivo perché la carriera è breve, bisogna saper approfittare del momento giusto.Il suo percorso somma alla carriera di ballerino anche quella di maître de ballet, di coreografo, di direttore di compagnia…E’ stato il destino, non ho mai pensato di fare coreografie. Non mi considero un coreografo, non avendo sviluppato un linguaggio mio, non è mai stato il mio sogno ma stavo facendo uno spettacolo a Verona con Carla Fracci e Beppe Menegatti che mi propose di creare un passo a due romantico per una serata di gala. In una settimana, in coppia con Susanne Jaffe, è nato La figlia del Danubio, poi Beppe mi ha chiesto di creare La Gitana per Carla, tre settimane di tempo per un balletto di tre atti, che è stato un grande successo. Dopo di che è stata la volta de Il Talismano. Pian piano ho smesso di ballare, avevo trentotto anni e ho cominciato a rimontare le coreografie. Creare per Carla Fracci con Luisa Spinatelli che faceva scene e costumi…l’orchestra dal vivo, il Teatro Filarmonico…ho avuto la chance di fare i miei primi tentativi in una situazione decisamente particolare.Che cosa la colpisce in un danzatore?L’intelligenza, la bellezza e… basta. Perché la tecnica sfrenata non mi ha mai impressionato più di tanto. Se entri in scena nel ruolo hai fatto già il cinquanta per cento per convincere il pubblico.Classico, neoclassico, quale stile predilige?Balanchine, Balanchine, Balanchine, mille volte Balanchine e ancora Balanchine. Intelligenza, bellezza, musicalità. È un genio. Ho ballato per la prima volta a Montecarlo  – avevo 23 anni – con Ghislaine Thesmar Violin Concerto, Ciajkovsky Pas de deux, Concerto barocco, a Toronto non avevo mai ballato le sue coreografie, non le conoscevo. A Stoccarda, per i balletti di Cranko ero molto preso dal lato teatrale, artistico della danza. Balanchine ha rappresentato una porta aperta su un mondo che io non pensavo esistesse neanche. È stato come una bomba,  ha cambiato tutto: la fisicità, la musicalità, il non fare un personaggio ma ballare, cantare col corpo, questa  cosa mi ha cambiato tutto il modo di vedere la danza, è diventata  la ragione per cui danzavo. Poi all’English National ho portato in scena Apollo e Sinfonia in C. Il mio unico rimpianto è di non aver ballato ancora di più il repertorio di Balanchine.Che cos’è il talento?Quello che vedo in sala alla prima prova è quello che in linea generale arriva in scena, certo si può lavorare sulla tecnica ma l’istinto iniziale, il modo di concepire un movimento dentro di sé, non cambia, questo è il talento: coordinazione, musicalità, intelligenza, tutto insieme. In scena si è completamente nudi, esposti, esce fuori  l’anima di una persona. Il talento può manifestarsi  anche nel modo di camminare, di essere presenti in scena, è l’essenza di un ballerino, indipendentemente dalla tecnica che chiunque può migliorare. O ce l’hai o non ce l’hai, nessuna scuola ti insegna a diventare artista.E l’umiltà?Intelligenza. L’arroganza è la stupidita di non capire il proprio posto, il proprio limite, è occupare troppo spazio. ‘Non puoi criticare il mercato prima di avere qualcosa da offrire’, me lo diceva sempre Ghislaine Thesmar. Tutti da giovani abbiamo fatto lo sbaglio di avere un’opinione su  ogni cosa ma con l’intelligenza poi pian piano capisci. Chi è umile è anche intelligente, sa qual è il suo posto nel mondo, sa quanto vale.Che cosa ama e che cosa non sopporta del modo della danza?Amo il teatro. Entrare in teatro ancora oggi, a 54 anni, mi fa venire i brividi, c’è una magia che mi piace molto. Magari non sopporto i ballerini di oggi, non sanno niente della danza, non vogliono sapere niente, si mettono alla sbarra a fare esercizi senza sapere il perché della danza. Mettono le gambe dietro la testa senza amore, senza passione. Tanti di loro non sanno neanche chi è Nureyev, chi è Nijinsky. Non dico che si debba sapere tutta la storia della danza ma siamo artisti, non conta solo il lato fisico. Molti, anche bravi/bravissimi, ballano senza chiedersi ‘perché’, senza cultura, questo mi da molto fastidio.Il momento più bello della sua carriera?Ne ho tanti. Mi ricordo uno spettacolo di Onegin a Parigi, agli Champs Elysées con la Terabust e l’English  National Ballet in tournée, ho ancora dentro di me l’emozione dello spettacolo, non ricordo i passi ma l’emozione che mi è rimasta, una cosa rara e preziosa. Tutto il lavoro che ho fatto nella mia vita fino ad allora, valeva la pena per arrivare a vivere quella emozione in palcoscenico. Viverla è rarissimo.Che cosa la emoziona?La bellezza, rende sopportabile il mondo. La vita di oggi lascia un po’ a desiderare, negli ultimi venti anni ho visto il mondo cambiare ed è molto difficile andare avanti.Per cinque anni ha diretto la compagnia del Balletto di Lipsia, che esperienza è stata?Una bellissima esperienza, non ero pronto ad affrontarla, è stato il destino. Uwe Sholtz è morto giovanissimo lasciando una grande eredità. Il primo anno è stato molto difficile per me poi pian piano mi sono abituato a gestirla, ho imparato tantissimo, mi sono messo alla prova ed è stata una sfida che mi ha cambiato profondamente.Tre aggettivi che la descrivono?Testardo, determinato, insicuro. A volte sfodero un bel sorriso per andare avanti  ma magari dentro di me sto morendo.Com’è cambiato il mondo della danza negli ultimi anni?I ballerini non ballano più, eseguono passi. Sono molto più bravi, la tecnica è più raffinata, pulita, ma se guardo in un dvd  la Fracci, la Makarova la Plisetskaya , è tutta un’altra storia.  Oggi si arriva molto più vicino alla perfezione ma manca l’arte della danza. Vado molto spesso a teatro ma è raro che riceva alcuna emozione. A volte i ballerini giovani non sanno neanche il ruolo che stanno interpretando, chi sono, che cosa stanno facendo. Un balletto come Il lago dei cigni non è tecnica… vedo piedi incredibili, gambe altissime, giri infiniti ma manca l’anima, manca la ragione per andare in scena.Le è mai capitato di aver avuto paura prima di entrare in scena?Sempre. Si prova per mesi un lavoro, di fronte a te l’orchestra dal vivo e duemila persone che ti guardano, colleghi intorno a te, non dico che tu voglia la perfezione ma almeno quello che hai provato in sala per tanto tempo. Delle volte ho ballato malissimo e altre volte ho ballato molto bene, senza sapere perché. Ogni volta è come una roulette, dipende da cosi tante cose,  non si può essere sempre in forma.Qual è il suo ruolo preferito?Albrecht in Giselle, ma anche James ne La Sylphide.Chi ha lasciato il segno più di tutti, nel suo percorso artistico?Ghislaine Thesmar, una donna di un’ intelligenza incredibile.Che cos’è la danza per lei?E l’unica cosa che mi fa alzare dal letto la mattina. E’ il fil rouge della mia vita, una grande passione, un grande amore che ho come il primo giorno. E’ la mia ragione per vivere.Elisabetta Testa

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