Lucia Lacarra, "la differenza è nel cuore"

Incantevole. Al di là di un corpo sinuoso e flessibile fino all’inverosimile, alle linee infinite e perfette ciò che colpisce è la sua forza interiore.

Lucia Lacarra (nella foto di Gene Schiavone) – spagnola – è una delle più grandi ballerine del mondo ma nella vita di tutti i giorni è una persona ‘determinata, emotiva e semplice’, come lei stessa si definisce.

Com’è entrata la danza nella sua vita?

E’ una passione che ho sempre avuto dentro, nella mia famiglia non c’è nessun artista. Da piccola ballavo sempre, ero una bambina molto attiva, piena di energia. Sono nata in un piccolo paese nel nord della Spagna, San Sebastian, dove non c’era una scuola di danza. A tredici anni mi sono trasferita a Madrid per studiare nella scuola di Victor Ullate.

Quali sono state le difficoltà?

Ho avuto la fortuna di nascere con un corpo particolarmente dotato ma ho dovuto lasciare molto presto la mia famiglia, i miei amici e nessuno mi ha dato la certezza che avrei costruito una carriera professionale.

C’è una persona in particolare che ha inciso nel suo percorso artistico?

Ce ne sono tante! Non credo che una persona possa realizzare qualcosa da sola, si ha sempre bisogno di qualcuno. Ho apprezzato molto l’aiuto dei maestri che di volta in volta hanno guidato il mio percorso artistico.

Ha avuto una formazione classica?

Più o meno, ho cominciato a lavorare con Victor Ullate che ha una scuola meravigliosa ed è un maestro fantastico. La sua compagnia, dove sono entrata a quindici anni, era piccola e non puramente classica. Dopo tre anni sono andata a Marsiglia dove ho lavorato con Roland Petit, anche lui non proprio classico…A ventidue anni sono partita per San Francisco, se non avessi interpretato i balletti di repertorio, così difficili, non li avrei potuti ballare mai più. E’ in America che ho affrontato i grandi titoli da La Bella Addormentata a Il Lago dei cigni e Giselle.

Qual è una dote che non può mancare ad un danzatore?

La differenza tra un ballerino bravo ed uno speciale è nel cuore, non nelle doti fisiche, nel corpo o nella tecnica che rappresenta un mezzo per esprimersi al meglio. Una volta in scena il pubblico percepisce ciò che si ha dentro.

Che cos’è il talento?

Non lo so descrivere, penso che tutti lo abbiano in qualche modo. Il segreto è trovare il proprio ed applicarlo alla passione per qualcosa.

Che cosa ama del mondo della danza e che cosa non sopporta?

Ciò che amo in assoluto è la scena. Tutti i sacrifici, il lavoro, il rigore, non sono finalizzati alle lezioni quotidiane, alle prove, al successo ma alla magia del palcoscenico. Vivo per quella. Non mi piace l’ambiente della danza, spesso un po’ limitato, che racchiude anche tante persone frustrate ma questo succede anche in altri ambienti, non solo nel mondo della danza!

Che cosa la emoziona?

Mi emoziono molto facilmente! Non ho bisogno di qualcosa di speciale… una musica, un tramonto, qualcuno che mi guarda in un certo modo, mi lascio andare continuamente alle emozioni. Nella danza ne vivo tante, più che pensare ai passi mi immergo totalmente nelle storie, nei personaggi che interpreto. Anche un balletto astratto ha bisogno di intensità. La danza è tutta un’emozione, per quello ho scelto di fare la ballerina!

Quale stile predilige, potendo scegliere? E qual è il suo ruolo preferito?

Il neoclassico. I balletti accademici sono molto belli ma interpretare Giulietta, Tatiana in Onegin, Carmen o La Signora delle camelie, ti fa sentire donna a trecentosessanta gradi e puoi vivere delle sensazioni molto forti.

Che cosa è cambiato nel mondo della danza secondo lei?

C’è sempre qualcosa che cambia, in meglio o in peggio. In questo periodo la danza è tornata alla sperimentazione, un po’ troppo per i miei gusti. Tante compagnie utilizzano uno stile contemporaneo veramente duro, vogliono creare qualcosa di diverso ma non c’è più tanto da inventare. Eppure ci sono molti coreografi che hanno ancora qualcosa da dire, storie mai rappresentate. La danza è sempre stata bellezza ma questa avanguardia pura la rende brutta, forse è solo un momento di transizione. Certo è più difficile creare un balletto con un intreccio narrativo che non una coreografia veloce e astratta. E’ un peccato, per me la danza è un’altra cosa.

La sua è una carriera luminosa, piena di successi e soddisfazioni importanti, ce l’ha un sogno da realizzare?

No, non l’ho neanche mai avuto. Ho sempre vissuto con i piedi per terra. Credo che quelli che sognano tanto alla fine non realizzino niente. Più che aspettare e sognare qualcosa che magari non si concretizzerà mai, preferisco prepararmi ad accogliere il mio destino. Sono sempre disponibile a vivere ogni esperienza, aperta alle opportunità della mia vita, non mi è mai piaciuto stare a casa ad aspettare che qualcosa succeda.

Il successo l’ha cambiata?

Assolutamente no. Lo dico sempre: sono una ballerina quando entro in teatro e quando esco dal teatro, poi ho la mia vita. Ho bisogno di avere vicino persone che mi vogliono bene per quello che sono, non per quello che rappresento.

Il corpo ha un suo istinto, quanto conta la cultura per un danzatore?

Sinceramente più che la cultura conta la vita vissuta. Se l’artista non vive le emozioni come può rappresentarle in scena? Certo, la cultura è importante, leggendo il testo della storia puoi approfondire meglio le sfumature, gli stati d’animo, l’idea dell’autore a proposito del personaggio da interpretare.

Che cos’è la forza?

Un qualcosa dentro di noi che ci aiuta a superare i momenti difficili. E’ la volontà di andare avanti.

Crede nel destino?

Si, c’è un disegno per ciascuno di noi ma devi essere pronto a prenderlo per mano, non viene da te.

Che cos’è la danza per lei?

La mia vita.

Elisabetta Testa

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