Jiří Bubeníček:” Il corpo? E’ un arcobaleno con tanti colori”

Ha attraversato il mondo della danza in lungo e in largo, sempre nel segno della qualità. Ballerino e coreografo di successo, icona di John Neumeier e vincitore del prestigioso Premio Benois de la Danse, da molti anni è una delle realtà più accattivanti nel panorama creativo della danza. Socievole, comunicativo, curioso della vita come dell’arte, Jiří Bubeníček (fratello gemello di Otto, anche lui ballerino) è una forza della natura e continua a infondere tutta la sua energia negli innumerevoli progetti in cui è coinvolto. L’ultimo, in ordine di tempo, la sua versione della Carmen, in scena al Teatro dell’Opera di Roma in prima assoluta con tutta la compagnia diretta da Eleonora Abbagnato, protagonisti: Amar Ramasar, principal dancer del New York City Ballet e Rebecca Bianchi, étoile del lirico romano.

Come è entrata la danza nella sua vita?

Più per caso che per scelta, i miei genitori erano acrobati…uno dei loro insegnanti notò che sia io che mio fratello Otto avevamo talento e così abbiamo cominciato a studiare danza.

Che cosa è stato difficile negli anni della sua formazione?

La scuola era molto dura, iniziavamo alle otto di mattina e uscivamo alle otto di sera. Molte volte mi svegliavo di notte con i crampi ai muscoli… avevamo un’insegnante particolarmente severa e l’allenamento quotidiano non era per niente facile.

Lei ha lavorato per molto tempo con John Neumeier, uno dei grandi coreografi del nostro tempo, che cosa le ha lasciato questa esperienza?

Ho lavorato con lui per tredici anni, ha avuto un forte impatto su di me e sulla mia carriera soprattutto, gli devo quello che sono oggi. Ho imparato tanto come artista anche se era molto severo con tutti noi in sala. Ho appreso come stare in scena, come interpretare il personaggio principale o qualunque altro ruolo di un balletto. Avrei voluto che fosse stato più comprensivo perché ero giovane e a quell’epoca vivevo lontano dai miei genitori. La gentilezza di una figura paterna ci avrebbe regalato maggiori benefici.

Com’è nato il desiderio di creare coreografie?

E’ un desiderio che ho sempre avuto, tanto da metterlo in pratica per circa vent’anni… ad un certo punto della mia vita non sapevo cosa fare, non ero in nessun casting per balletti, quindi ho iniziato a coreografare per fatti miei. Ho creato un solo, un duetto, poi ho partecipato ad alcune competizioni ma non è così che sono diventato coreografo è stato un processo lungo e intenso che è durato molti anni. E voglio aggiungere che un coreografo non è niente senza i suoi bravi ballerini.

Che cosa guarda in un ballerino, che cosa la colpisce?

L’umanità. La cosa più importante è percepire come è la persona nella vita reale, così che possa essere onesta sul palcoscenico. Più sei umano nella tua vita e più sarai generoso in palcoscenico. La forma è secondaria, come per un bravo attore…deve essere carino? No, non per forza… deve essere una brava persona e saper trasmettere delle emozioni al pubblico. La cosa più importante è questa, non importa se sei ballerino, attore, cantante, ci deve essere qualcosa in più per poter arrivare al pubblico. In qualità di coreografo non scelgo solo bei corpi ma scelgo persone interessanti, piene, che siano in grado di comunicare sensazioni.

Lei viene da una formazione classica ma nelle sue coreografie utilizza anche un linguaggio contemporaneo, quale preferisce?

Dipende dai casi, ogni volta è diverso. La Carmen ha un vocabolario e uno stile classico, ma in Svezia sto creando dei lavori con un linguaggio più contemporaneo. In genere quando ricevo un’offerta da un teatro vado a vedere la compagnia e poi scelgo quale linguaggio si può adattare meglio. Dipende dalle realtà con cui collaboro, cerco di cambiare, di non fare sempre le stesse cose.

Le è mai capitato di avere paura?

Il ballerino si preoccupa di se stesso… il coreografo di tutto l’insieme, non riesce a controllare tutto, in qualche modo dipende dagli altri ballerini. Il ruolo di coreografo è un misto di amore e odio… mi piace molto creare ma non è sempre facile entrare in sala e avere venti ballerini che aspettano di sapere cosa devono fare, come si devono muovere…è terribile dover produrre per forza qualcosa, anche se non si è ispirati in quel momento e poi non c’è mai abbastanza tempo, si è sempre di corsa, la prima si avvicina e ci sono mille cose da fare…invece quando la coreografia è finita te la godi ma è come una pagina bianca e tu hai due minuti per creare una bella poesia, un bel libro, a volte puoi, a volte no, qualche volta ti svegli e sei ispirato, altre volte non hai voglia di fare niente. Quindi è come è, e questo fa un po’ paura perché non puoi mai sapere, farai il salto ma non sai se riuscirai a nuotare oppure no.

Come nasce una sua creazione?

Qualche volta da un libro, a volte dalla musica o dalla personalità dei ballerini, a volte non so da dove…provo solo ad ascoltare il mio istinto.

Che cos’è il corpo per un danzatore?

È lo strumento che esprime la tua anima e il tuo cuore ma è anche uno strumento sexy…può toccare le persone, creare storie, provocare emozioni, è un arcobaleno con tanti colori.

Predilige creare per le donne o per gli uomini?

Le donne spesso riescono a dire più cose, ad essere più sensibili. Ho creato molte coreografie con protagoniste femminili, una di queste è Piano. Mi piace l’essere umano con le sue caratteristiche diversità: l’uomo maschile e la donna femminile, la forza per gli uomini e la sensibilità per le donne. Voglio creare per entrambi perché sono affascinato dalle storie e le storie non esistono senza uomini e donne. Mi è capitato di coreografare sia balletti astratti che narrativi e trovo che sia più semplice raccontare qualcosa.

Secondo lei c’è ancora qualcosa da inventare?

Non saprei… questa domanda me la pongo ogni giorno…Credo che sia già abbastanza provarci, io ci provo sempre e magari un giorno ci riuscirò!

Che cosa è cambiato nel mondo della danza negli ultimi anni?

La danza sta vivendo tante evoluzioni: Forsythe ha eliminato i costumi, le luci, la scenografia e Balanchine, prima di lui, ha tolto tutto quello che non era necessario ma io credo che ora stiamo procedendo di nuovo verso la narrazione. Le persone vogliono leggere bei libri, andare a cinema a vedere bellissime storie e credo che sia una sorta di rifioritura. Il cambiamento è nel tornare indietro.

Chi è il suo coreografo preferito?

Mi piacciono tutti, se hanno qualcosa da dire! Jiří Kylián, William Forsythe, Ohad Naharin, Mats Ek, Pina Bausch…dentro ognuno di loro c’è un’intensa umanità.

Lei continua a lavorare con alcune delle migliori compagnie del mondo, quali sono le differenze tra l’una e l’altra?

Non ci sono differenze, più lavoro con le persone più realizzo che sono simili ma molto diverse, si ha sempre a che fare con qualcuno che è gentile, adorabile, o con cui hai litigato, qualcuno problematico o pigro. Allora realizzi che tutte le compagnie sono uguali: asiatiche, nere o bianche, non ha importanza. Più vai avanti più impari la psicologia, ad esempio come posso ispirarti, come puoi darmi qualche emozione, come posso restituirtela, come posso spingerti al limite ma senza farti male, come posso renderti felice, come possiamo avere una conversazione botta e risposta…questo è ciò che mi interessa.

E’ una persona ambiziosa?

Si, lo sono! Non so perché, mio padre era molto duro con me, forse mi ha educato in questo modo.

Il ricordo più bello della sua carriera?

Mi piaceva molto stare in palcoscenico, ne Il lago dei cigni ero seduto sul trono come un re e proprio vicino a me c’era l’orchestra, trenta persone che suonavano e io ero l’unico in scena…in quei momenti pensavo sempre:” Devo godermelo perché tutto questo finirà molto presto”. Il mio ricordo più bello è il senso di libertà che ho vissuto in palcoscenico.

Che cos’è la danza per lei?

È un’illuminazione spirituale, un’ispirazione costante dentro di me.

Elisabetta Testa

 

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